Proposta di legge M5S: Norme per il
blocco del consumo di suolo e la tutela del paesaggio
29 maggio 2013 alle ore 15.55
Il M5S ambiente territorio e lavori pubblici ha presentato la sua organica
e completa proposta di legge su un tema molto importante e sentito su tutto il
territorio nazionale: la tutela del suolo e lo stop al suo consumo e alla
cementificazione selvaggia. Particolare attenzione viene data alla
salvaguardia e valorizzazione dei suoli agricoli sia per prevenire il rischio
idrogeologico sia soprattutto per valorizzare un settore che è fonte di
ricchezza, qualità, lavoro ed indipendenza alimentare!
In stile 5stelle la stesura è stata condivisa con alcuni esperti e
associazioni.
Ora rimettiamo al giudizio della rete la nostra proposta invitandovi a sottoporci eventuali migliorie e correzioni.
Ora rimettiamo al giudizio della rete la nostra proposta invitandovi a sottoporci eventuali migliorie e correzioni.
CAMERA DEI DEPUTATI
PROPOSTA DI LEGGE n.1050
d’iniziativa dei deputati DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI, TERZONI,
TOFALO, ZACCAGNINI, ZOLEZZI
NORME PER IL BLOCCO DEL CONSUMO DI SUOLO E LA TUTELA DEL PAESAGGIO
Colleghi deputati! Il nostro ordinamento non ha mai attuato in modo
organico la finalità costituzionale del razionale sfruttamento del suolo (art.
44 Cost.) che oggi più che mai deve intendersi una risorsa sempre più scarsa,
con pesanti ripercussioni sull’economia agricola e turistica.
Il suolo non è solo un elemento produttivo ma anche il cardine della
nozione di paesaggio (art. 9, II° comma, Cost.) che, come ha affermato la
giurisprudenza costituzionale, “non dev’essere limitato al significato di
bellezza naturale, ma va inteso come complesso dei valori inerenti al
territorio” (Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379) e conseguentemente come bene
“primario” ed “assoluto” (Corte Cost., 5 maggio 2006, nn. 182 e 183)
necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali,
sempre nell’ambito di standard stabiliti a livello statale (Corte Cost., 22
luglio 2004, n. 259).
Nel recente “Rapporto sul benessere urbano” redatto dall’Istat nel
2013 si legge nel capitolo “Il diritto alla bellezza” (pag. 195) “Mentre
la tutela dei centri storici e la protezione delle aree naturali sono principi
consolidati nel quadro normativo e sedimentati ormai da tempo, la salvaguardia
dei paesaggi rurali non si è ancora affermata nella legislazione e neanche
nell’opinione pubblica”.
E’ dunque evidente che la legislazione italiana versa, ancora, in una
situazione di profondo ritardo rispetto all’attuazione del dettato
costituzionale, con gravi ripercussioni sullo stato del paesaggio e del mercato
edilizio. Da un lato la gravissima crisi della finanza locale sta portando ad
una drastica riduzione del welfare urbano con la prospettiva di una ulteriore
arretramento delle condizioni di vita delle popolazioni già colpite da sei anni
di crisi economica e finanziaria. Già oggi i comuni italiani non hanno più le
risorse sufficienti per garantire l’erogazione dei servizi essenziali da cui
dipende la vita quotidiana della popolazione: si chiudono servizi; si riduce
l’assistenza sociale; a Napoli, caso emblematico passato troppo in fretta sotto
silenzio, il 30 gennaio 2013 non si è garantito il servizio di trasporto
pubblico per la mancanza di combustibile con cui far circolare gli autobus
municipali.
Sul fronte del paesaggio agricolo e delle aree aperte in generale, stiamo
rischiando di cancellare paesaggi storici che hanno formato il vanto della
cultura italiana del territorio. A differenza degli altri paesi europei,
i nostri comuni non riescono a controllare il processo di diffusione urbana e
abbiamo il paesaggio agricolo più disordinato e compromesso. Peraltro, gran
parte delle nuove proposte di realizzazione di grandi trasformazioni
urbanistiche che connotano la vita della regioni italiane, basti pensare a
Mediapolis di Ivrea o alle cinque nuove città tematiche del Veneto,
vengono localizzate in area agricola: ulteriori compromissioni di migliaia di
ettari di territorio sacrificati per uno “sviluppo” speculativo, una delle
cause della crisi economica che stiamo vivendo.
Il disordine insediativo e l’abbandono del territorio agricolo sono anche
elemento di gravi conseguenze sullo sviluppo del paese e sulla stessa vita dei
suoi abitanti. Dissesto idrogeologo, esondazioni e frane non sono infatti
fenomeni “naturali”, sono invece le conseguenze della mancanza di governo del
territorio. Si legge ad esempio nel “Primo rapporto Ance – Cresme
sullo stato del territorio italiano (2012)” che (pag. 25): “Per
avere un’idea della dimensione del problema, si pensi solo che a partire
dall’inizio del secolo gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati
4.000 che hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma
soprattutto hanno provocato circa 12.600 morti, dispersi o feriti e il
numero degli sfollati supera i 700 mila“. Un costo umano ed economico
che il sistema Italia non si può più permettere: la tutela del paesaggio
agrario è dunque un’emergenza assoluta.
Infine, sul versante del mercato edilizio assistiamo da cinque anni
alla progressiva diminuzione dei valori immobiliari, in particolare nelle
piccole e medie città e in generale nelle aree periferiche urbane. La
stragrande maggioranza delle famiglie italiane si trova così a fare i conti non
soltanto con la crisi economica e con la disoccupazione, ma per la prima volta
vede il concreto rischio di una forte perdita di ricchezza a causa del crollo
dei valori immobiliari in atto. I risparmi di una vita sembrano dunque messi a
rischio e ciò provoca un diffuso e pericoloso senso di insicurezza sociale.
Di fronte a questi tre fenomeni, procede senza soste il processo di ulteriore
crescita delle città. Nel 2012 il Politecnico di Milano, a seguito di una
specifica ricerca, evidenziava come città di grandi dimensioni come Brescia o
Bergamo sulla base dei permessi di costruzione già rilasciati, si troveranno ad
avere rispettivamente 107 mila e 135 mila alloggi vuoti
inutilizzati. Una quantità edilizia insostenibile, in grado di ospitare un
numero di abitanti uguale se non superiore a quello già oggi residente! Giacomo
Vaciago sul Sole 24 Ore del 16 febbraio 2012 poneva invece l’attenzione
sulle enormi previsioni edificatorie esistenti nei piani regolatori
comunali ideati e approvati negli anni in cui si era convinti di un
processo di crescita infinita. Nelle mutate condizioni in cui siamo dentro una
crisi economica da cui nessuno è in grado di prevedere l’esito e di fronte alla
forte riduzione in atto dei valori immobiliari stiamo costruendo un imponente
patrimonio immobiliare che provocherà inevitabilmente un’ulteriore caduta
dei valori delle case e per ciò stesso dei redditi della stragrande maggioranza
della popolazione italiana.
Sulla base dei dati del censimento Istat 2011, a fronte di circa 25 milioni
di nuclei familiari, esistono circa 29 milioni di alloggi. Questi numeri vanno
maneggiati con cura, come è noto: la loro distribuzione geografica non è
infatti omogenea e possono ancora esistere aree in cui sussistono segmenti di
fabbisogni abitativi. Ma tutti gli analisti dei processi territoriali
concordano che siamo in presenza di un eccesso di offerta, come è evidente
dall’esteso numero di alloggi invenduti e dal gigantesco processo di abbandono
di manufatti per uffici o per le attività produttive. Se il numero delle
abitazioni e degli edifici dismessi crescesse ancora, saremmo di fronte ad una
situazione di assoluta gravità che, come nella recente esperienza spagnola,
rischia di far crollare ulteriormente i valori immobiliari di gran parte delle
famiglie italiane.
Fermare il consumo di suolo; cancellare le gigantesche previsioni
edificatorie dei piani urbanistici comunali è in tal senso l’unica responsabile
risposta per tenere unita la coesione sociale. Insistere, come fanno ancora in
molti, sulla sacralità dei diritti edificatori – inesistente, come noto, nella
legislazione italiana - significa soltanto privilegiare gli interessi di pochi
proprietari fondiari contro gli interessi del 75% dei piccoli proprietari del
proprio alloggio.
Una situazione fuori controllo provocata da venti anni di deregulation, di
condoni edilizi, di demolizione delle regole pubbliche di controllo delle
trasformazioni urbane. Di concetti giuridicamente inesistenti, come
i “diritti edificatori”, di strumenti di moltiplicazione del consumo di suolo
come la compensazione urbanistica. Di deroghe urbanistiche e
paesaggistiche ottenute con l’uso strumentale dell’accordo di programma. Se
vogliamo salvare quanto resta del paesaggio italiano, le città e
tutelare il bene casa degli italiani, dobbiamo voltare pagina e dobbiamo
chiudere per sempre la fase di potenziale ulteriore espansione
urbana. “Stop al consumo di suolo” è pertanto il principale obiettivo della
legge: l’unica strada per salvare il paesaggio agrario e le città.
E’ noto che sul tema del contenimento del consumo di suolo ci sono stati
nel recente periodo non soltanto autorevoli interventi di enti di ricerca
pubblici come l’Ispra (2012 – 2013). Siamo d fronte a una diffusa presa di
coscienza da parte dell’intero paese dimostrata da importanti ricerche e
proposte svolte dal WWF insieme al FAI (2011 – 2013), da Legambiente, dall’Inu,
da numerose facoltà universitarie, nonché da importanti associazioni
ambientalistiche quali Salviamo il Paesaggio o Italia Nostra.
La proposta di legge si fa carico responsabilmente di questa tematica e
stabilisce un duplice principio già presente in alcune leggi urbanistiche
regionali: le nuove trasformazioni urbane devono essere collocate all’interno
delle zone già urbanizzate e i nuovi impegni di suolo libero possono essere
autorizzati soltanto se non sia altrimenti possibile collocarle attraverso la
riutilizzazione degli immobili esistenti non utilizzati.
Per funzionare efficacemente, questa norma generale ha necessità che venga
definito in maniera univoca il perimetro delle aree urbanizzate formato dai
nuclei storici, dalle zone di consolidata e nuova espansione, dalle aree
produttive e da quelle destinate a servizi. In tal senso i comuni
dovranno effettuare la prime trazione delle zone urbane sottoponendole
all’approvazione delle regioni. Al di fuori di questo perimetro si può svolgere
soltanto attività agricola.
La proposta di legge compie in particolare un fondamentale passaggio
culturale indispensabile se si vuole dare solennità al tema della salvaguardia
del paesaggio agricolo. E’ infatti noto che esso, pur presentando diffuse
compromissioni causate dall’abusivismo e in generale da una carente azione di
governo del territorio da parte delle amministrazioni comunali,
rappresenta una parte fondamentale del paesaggio italiano e, spesso, un
elemento identitario della cultura del nostro paese.
Nel 1985 con l’approvazione della legge Galasso (n. 431) il legislatore
operò una fondamentale innovazione della nozione di tutela estendendola anche
ad alcune categorie di beni paesaggistici. Questo principio basilare di
tutela del paesaggio italiano è stato come noto oggetto di successive conferme
legislative fino all’approvazione del Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
Oggi, di fronte al concreto rischio della scomparsa di importanti porzioni
di territorio agricolo ci siamo assunti la responsabilità di ampliare le
categorie dei beni paesaggistici vincolati includendovi anche le aree agricole,
nella convinzione che la tutela sia lo strumento fondamentale per ricostruire
l’unitarietà del paesaggio e nel contempo il ruolo del governo pubblico del
territorio previsto dalla Costituzione e troppe volte messo in discussione
negli ultimi decenni.
La proposta di legge affronta poi la questione cruciale, in un momento di
crisi come quello che il paese sta vivendo, dell’uso produttivo e sociale del
patrimonio immobiliare pubblico. E’ noto che da venti anni è in atto un
processo di vendita di importanti segmenti della proprietà collettiva.
Provvedimenti che, seppur criticabili in linea di principio anche per il fatto
che mancava – e ancora manca! - l’elenco dettagliato delle numerose esposizioni
di bilancio passivo per le locazioni di immobili privati esse potrebbero
trovare collocazione in edifici di proprietà con un importante risparmio
economico, poteva avere una sua spiegazione all’interno della fase espansiva dell’economia.
Oggi lo scenario è cambiato radicalmente e ciò ha due oggettive
conseguenze. Una delle questioni principali che deve affrontare il nostro paese
è la mancanza di lavoro giovanile. Eppure i nostri giovani presentano tassi di
scolarizzazione elevati e attitudine all’imprenditorialità spiccata ma
frustrata dagli elevatissimi valori locativi degli immobili. Le proprietà
pubbliche devono dunque diventare il volano virtuoso da assegnare ai giovani
imprenditori in cui poter sperimentare la capacità di innovazione e
creare impresa. Resta inoltre da ricordare che seppure in presenza di un
gran numero di alloggi invenduti, resta alta nei grandi centri metropolitani la
questione abitativa perché molte famiglie non hanno la capacità di spesa
sufficiente. Anche in questo caso, le proprietà pubbliche dovranno diventare il
prezioso strumento per risolvere il diritto all’abitare di tutti i cittadini.
Del resto, è noto che i valori economici di vendita sono sempre più modesti
e l’eventuale vendita non farà recuperare neppure i passivi di locazione che si
continuano a pagare in ogni parte d’Italia. Senza pensare alle malversazioni e
agli sprechi di denaro pubblico che si sono verificati in modo diffuso nel
ventennio della svendita. Si può infatti ricordculazione edilizia e dove
– dopo 6 anni! - lo Stato paga enormi canoni di affitto alla
proprietà fondiaria privata pur avendo a disposizione grandi contenitori,
comprese le stesse torri dismesse, per ospitare le attività istituzionali.
La proposta di legge prevede che prima di procedere a qualsiasi vendita si
debbano effettuare quattro adempimenti: il censimento, da parte dei comuni,
degli immobili sfitti situati all’interno del proprio territorio; il censimento
delle proprietà pubbliche; il censimento di tutte le esposizioni verso le
proprietà private per lo svolgimento delle attività istituzionali; la verifica,
effettuata attraverso rigorose forme di pubblicità, delle esigenze di spazi
lavorativi da parte di giovani imprenditori e abitativi per le famiglie in
stato di disagio abitativo.
Ulteriore tema affrontato dalla legge riguarda il finanziamento da parte
dello Stato dei processi di rinnovo e riqualificazione urbana. E’ noto che
negli ultimi anni si è affermato il concetto de “non ci sono i soldi”.
Problema serio e reale per gli elevati processi di indebitamento della pubblica
amministrazione. Problema mal posto se si pensa che il “Piano
città” è stato finanziato per 2 miliardi di euro a fronte dello stanziamento di
oltre 100 miliardi per le grandi opere, come noto spesso inutili a delineare
una prospettiva di sviluppo. Per uscire dalla crisi occorre investire in una
serie estesa di “piccole opere” che, considerate nei loro aspetti
sistemici, potrebbero portare benefici ben maggiori. Si tratta insomma di
mutare l’agenda dei finanziamenti e rilanciare gli interventi di
riqualificazione urbana.
All’articolo 1 la legge precisa i suoi obiettivi, e cioè la tutela dell’uso
dei suoli agricoli come previsto dall’articolo 44 della nostra Costituzione e
il contenimento del suo uso a fini insediativi o di trasformazione
territoriale.
L’articolo 2 reca le definizioni di “aree agricole”, “aree a vocazione
ambientale”, “consumo di suolo” e “aree urbanizzate”, con l’obiettivo di dare
un quadro giuridico meno incerto ed approssimativo di una materia delicata come
il governo del territorio.
L’articolo 3 obbliga i comuni ad individuare in modi univoco le aree di uso
agricolo. Li obbliga in altri termini a tracciare una rigorosa
suddivisione tra le aree urbanizzate e le aree che appartengono all’uso
agricolo e alla conservazione della natura. Una volta tracciata entro 180
giorni questa delimitazione e trasmessa alla regione di appartenenza e al
Ministero dell’Ambiente, tutti i nuovi impegni di suolo dovranno avvenire
all’interno del perimetro della città edificata, lasciando all’uso produttivo
agricolo tutte le restanti aree.
L’articolo 4 restituisce al paesaggio agrario la dignità di elemento
costitutivo dell’identità culturale dell’Italia. Esso diviene conseguentemente
una categoria di beni vincolati ai sensi dell'art. 142, comma 1, del
d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42.
All’articolo 5 la legge risolve un tema di grande delicatezza giuridica,
quello dei diritti edificatori. Insieme alla perimetrazione dell’edificato,
infatti, i comuni dovranno obbligatoriamente e riportare tutte i diritti
edificatori fino ad allora maturati sul proprio territorio. Come è ampiamente
noto, nella legislazione urbanistica italiana si intende per “diritto
edificatorio” quanto maturato fino alla emissione del provvedimento
abilitativo, lasciando tutte le previsioni edificatorie contenute nei piani
urbanistici alla legittima potestà comunale di cancellarle sulla base di
rigorose e imparziali motivazioni. Esistono a questo riguardo fondamentali
sentenze come ad esempio quella del Consiglio di stato n. 6656/2012. La
motivazione che è alla base della cancellazione delle previsioni edificatorie
contenute nei piani urbanistici è quella che dicevamo fin dall’inizio:
non si può continuare a inflazionare la costruzione di residenze se non
vogliamo mettere a repentaglio i valori immobiliari ancora esistenti, ancorché
fortemente decurtati rispetto a cinque anni fa.
All’articolo 6 affronta la possibilità di recuperare alcune delle
previsioni urbanistiche contenute negli strumenti vigenti sospesi dalla
procedura prevista dall’articolo 2. I comuni in questo caso dovranno però
dimostrare con dati ufficiali e organici l’entità dei fabbisogni abitativi o
produttivi da realizzare e dimostrare altresì sulla base della ricognizione
esaustiva del numero degli immobili dismessi o abbandonati esistenti
all’interno del territorio comunale, che non è possibile soddisfare tali
esigenze all’interno del perimetro dell’area edificata come stabilita
dall’articolo 2 o negli immobili abbandonati.
L’articolo 7 affronta un tema decisivo, poiché da alcuni anni con la legge
244 del 24 dicembre 2007, i proventi ricavati con i proventi dei titoli
abilitativi potevano essere utilizzati non soltanto per la realizzazione di
opere di urbanizzazione ma anche per la spesa corrente. Tale provvedimento
legislativo è stato una delle cause della cementificazione del nostro paese e
va conseguentemente abrogato. Anzi, questo divieto alla scorciatoia e alla
deroga fa parte di un più generale disegno di ripristino della legalità di cui
si sente fortemente l’esigenza.
Altro elemento decisivo per riportare la legalità e la trasparenza nei
processi di trasformazione urbana è affrontato all’articolo 8. In esso si pone
un limita all’uso derogatorio che in questi anni si è affermato dell’accordo di
programma previsto dall’articolo 34 del D.lgs 18 agosto 2000 n. 267 e
all’insieme degli strumenti di negoziazione territoriale. La legge impone
che il ricorso all’uso dell’accordo di programma possa avvenire soltanto se
esista conformità urbanistica con gli strumenti di piano paesaggistico e
urbanistico vigenti. Basta, insomma, con la cultura delle varianti puntuali che
hanno devastato le città e i territori italiani.
Gli articoli dal 9 all’11 affrontano la questione della conoscenza
sistematica dello stato del patrimonio edilizio inutilizzato; di quello
pubblico e di quello utilizzato in locazione dalle pubbliche amministrazioni
che è causa come noto di forte indebitamento per lo Stato.
IL’articolo 13 affronta una questione di grande delicatezza sociale. Il
patrimonio immobiliare pubblico deve diventare il volano per facilitare al
ripresa economica e produttiva del paese affidandolo ad usi economici a favore
di imprese, in particolare giovanili. Inoltre, di fronte al dramma dell’assenza
di alloggi sociali per le classi sfavorite, per le giovani coppie e per gli
anziani, l’articolo impone che il riuso del patrimonio pubblico sia finalizzato
prioritariamente alla soddisfazione dei gravi disagi abitativi. Soltanto dopo
questa fase pubblicistica, da effettuarsi mediante le più ampie forme di
pubblicizzazione, lo Stato potrà procedere alla vendita degli immobili non
utilizzabili a questo fine.
L’articolo 14 torna sul tema delle politiche di sostegno alle attività
agricole, come noto oggi in gravi difficoltà economiche e, in particolare, con
l’articolo 15 si cancella l’obbligo le pagamento dell’IMU per gli immobili
strumentali al funzionamento delle attività agricole.
Gli ultimi due articoli, sono infine destinati alla precisazione delle
disposizioni di carattere finanziario e sanzionatorio (art. 16) e delle
disposizioni transitorie e finali (art. 17).
Colleghi deputati, con questa legge ci proponiamo di salvare il
paesaggio italiano da un’ulteriore fase di devastazione urbanistica e di
contribuire alla ripresa economica del paese utilizzando in modo intelligente
il grande patrimonio immobiliare pubblico. Soltanto così si potrà aprire una
nuova prospettiva per il paese e per le giovani generazioni.
PROPOSTA DI LEGGE
ART. 1.
(Tutela e contenimento del consumo del suolo).
La presente legge detta principi fondamentali per il razionale sfruttamento
del suolo nonché per la conservazione e la valorizzazione dei terreni agricoli,
al fine di promuovere l'attività agricola e forestale - necessaria anche nel
contenimento del dissesto del territorio - riconoscendole un ruolo fondamentale
per il perseguimento di un rapporto equilibrato tra sviluppo delle aree
urbanizzate e aree rurali, al fine di azzerare il consumo di suolo libero,
nonché per la tutela del paesaggio, in attuazione dell'articolo 9,
secondo comma, dell’articolo 44 della Costituzione e della Convenzione Europea
del Paesaggio del 20 ottobre 2000, ratificata dall’Italia con la legge 9
gennaio 2006, n. 14.
Le politiche di sviluppo territoriale nazionali e regionali perseguono la
tutela e la valorizzazione della funzione agricola attraverso l’azzeramento del
consumo di suolo e l’utilizzo agroforestale dei suoli agricoli abbandonati,
privilegiando gli interventi di riutilizzo e di recupero di aree urbanizzate.
ART. 2
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge, si intende:
per «aree agricole»: tutte le superfici interessate dalla presenza di suoli
produttivi o comunque vegetati, coltivati, incolti o forestali, libere da
edificazioni e infrastrutture allo stato di fatto;
per «aree a vocazione ambientale»: tutte le superfici boschive o forestali
nonché tutte le aree sottoposte a vincolo di carattere ambientale, idrogeologico,
forestale e paesaggistico tutelate ai sensi del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42,
della legge 6 dicembre 1991, n. 394, del HYPERLINK "http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&frm=1&source=web&cd=2&cad=rja&ved=0CDYQFjAB&url=http%3A%2F%2Fwww.aip-suoli.it%2Fsuolo%2Fcd_leggi%2Fdoc%2FRDLgs3267_30121923.pdf&ei=e4OkUaajH4X0Of62gLAN&usg=AFQjCNHzCyfTVMN6j1DhN20Ql4WgIEP7SQ&sig2=7vPhMbXCOiiPmQNjH_dVmg&bvm=bv.47008514,d.bGE"
r.d.lgs. 30 dicembre 1923, n. 3267 e della legge 16 giugno 1927, n. 1766 e loro
successive modifiche e integrazioni.
per «consumo di suolo»: la riduzione di superficie agricola e forestale, di
aree agricole e a vocazione ambientale per effetto di scelte di pianificazione
urbanistica nonché di interventi di impermeabilizzazione del suolo,
urbanizzazione ed edificazione non connessi all'attività agricola;
per «aree urbanizzate»: tutte le aree individuate dagli strumenti
urbanistici vigenti come zone territoriali omogenee di cui alle lettere A), B),
D) e F) del comma 1 dell’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori
pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, nelle quali il rapporto tra superficie
impermeabilizzata e superficie totale sia superiore al 50 per cento.
ART. 3
(Perimetrazione del territorio agricolo e naturale)
Entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i
comuni redigono la perimetrazione del territorio comunale suddividendolo in tre
categorie: le aree urbanizzate, le aree agricole e le aree a vocazione
ambientale.
Entro 90 giorni dalla ricezione degli elaborati di cui al comma 1, le
regioni o le province nonché le province autonome di Trento e Bolzano, sulla
base delle leggi regionali vigenti, predispongono la mappatura del territorio
di propria competenza e la inviano al Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare.
Entro 90 giorni dalla ricezione delle mappature, Il Ministro dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare approva, con proprio decreto, il
Quadro nazionale dello stato del territorio, il cui contenuto è pubblicato sul
portale cartografico nazionale del Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare.
Le trasformazioni urbanistiche dei territori comunali avvengono
esclusivamente all’interno del perimetro delle aree urbanizzate.
ART. 4
(Modifiche al codice del paesaggio)
1. All'art. 142, comma 1, del d.lgs 22 gennaio 2004, n.42, è inserita la
seguente lettera:
"n) il territorio non urbanizzato sia in condizione naturale sia
oggetto di attività agricola o forestale".
2. All'art. 142 del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42 sono aggiunti i seguenti
commi:
“5. Le regioni, d'intesa con la competente soprintendenza, individuano
il territorio di cui al comma 1, lettera n)”.
“6. Fino all’intervenuta individuazione ai sensi del comma 5 il
territorio di cui al comma 1, lettera n), coincide con l’insieme delle zone di
cui alla lettera E) dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968,
n.1444, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 aprile
1968, n.97, ovvero delle omologhe zone comunque denominate nelle leggi
regionali, individuate e perimetrate negli strumenti di pianificazione vigenti”.
“7. Fino all’adeguamento delle leggi regionali ai principi fondamentali
dettati dalla legislazione dello Stato in materia di governo del territorio con
riferimento al territorio non urbanizzato, nonché fino all’entrata in vigore
dei piani paesaggistici, ai sensi dell’articolo 156 ovvero ai sensi
dell’articolo 135, e all’eventualmente necessario adeguamento degli strumenti
urbanistici ai sensi dell’articolo 145, nel territorio di cui al comma 1,
lettera n), è vietata ogni modificazione morfologica dell’assetto del
territorio, nonché ogni nuova costruzione, o demolizione e ricostruzione, di
edifici, eccezione fatta per quelle finalizzate alla difesa del suolo e alla
riqualificazione ambientale”.
3. All'art. 143, comma 4, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è
inserita la seguente lettera:
"c) per il territorio di cui al precedente articolo 142, lett. n),
il piano paesaggistico prevede obiettivi e strumenti per la conservazione e il
restauro del paesaggio agrario e non urbanizzato".
ART. 5
(Diritti edificatori)
I comuni, all’interno della perimetrazione di cui all’articolo 3,
individuano anche le aree su cui sussiste un diritto edificatorio.
Ai sensi della normativa nazionale in materia, il diritto edificatorio si
concretizza allorquando sia previsto da un titolo abilitativo non decaduto né
annullato.
Le previsioni di espansione contenute all’interno degli strumenti
urbanistici comunali sono indicazioni meramente programmatiche, che, sulla base
di provvedimenti motivati e imparziali, possono subire modifiche o
cancellazioni, attraverso la normale attività pianificatoria della
pubblica amministrazione competente.
ART. 6
(Previsioni di nuove urbanizzazioni)
Le trasformazioni urbane avvengono all’interno del perimetro delle zone
urbanizzate.
I comuni, sulla base di specifiche e effettive esigenze abitative o
infrastrutturali e accertata l’assenza di alternative di riuso e
riorganizzazione degli immobili e delle infrastrutture esistenti, possono
prevedere nuove aree edificabili.
Le previsioni di cui al precedente comma devono essere giustificate sulla
base di indicatori statistici relativi alla dinamiche demografiche, economiche
ed occupazionali elaborati dall’Istat o da istituti di ricerca pubblici.
Le previsioni di nuove urbanizzazioni devono altresì essere giustificate
dall’impossibilità di poter essere soddisfatte all’interno delle aree
interstiziali urbane non edificate o in edifici esistenti inutilizzati così
come individuati dal censimento previsto dall’articolo 9.
Le aree edificabili, individuate ai sensi del comma 1, sono soggette ad un
contributo addizionale rispetto agli obblighi di pagamento connessi con
gli oneri di urbanizzazione e con il costo di costruzione, la cui misura è
stabilita dai comuni ai sensi delle leggi statali e regionali vigenti.
A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, il
contributo di cui al comma 5 si applica in tutto il territorio nazionale con
riferimento a ogni attività di trasformazione urbanistica ed edilizia che
determina un nuovo consumo di suolo. Esso è pari a cinque volte il contributo
relativo agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione.
Sono tenuti al pagamento del contributo di cui al comma 6 i soggetti tenuti
al pagamento degli oneri relativi ai costi di urbanizzazione e al costo di
costruzione, secondo le stesse modalità e gli stessi termini. I comuni
destinano i proventi del contributo a un fondo vincolato destinato ai seguenti
interventi:
non meno del 20 per cento alla bonifica dei suoli;
non meno del 20 per cento al recupero e riqualificazione del patrimonio
edilizio pubblico esistente, con priorità per gli interventi di messa in
sicurezza e risanamento conservativo degli edifici scolastici;
non meno del 20 per cento ad interventi di riduzione del rischio
idrogeologico, sia mediante interventi di riduzione della pericolosità, sia
mediante interventi di rilocazione di edifici pubblici posti in aree ad elevato
rischio;
non meno del 20 all’ acquisizione, realizzazione e manutenzione di aree
verdi.
Gli interventi di cui al comma 7 sono esclusi dal vincolo del patto di
stabilità interno.
ART. 7
(Finalizzazione degli introiti derivanti dai provvedimenti abilitativi)
I comuni destinano obbligatoriamente i proventi dei titoli abilitativi
edilizi e del contributo addizionale di cui all'articolo 4, comma 7, nonché
delle sanzioni di cui al d.p.r. n. 380 del 2001, alla realizzazione delle opere
di urbanizzazione primaria e secondaria, al risanamento di complessi edilizi
compresi nei centri storici, a interventi di recupero e riqualificazione del
patrimonio edilizio esistente, anche ai fini della messa in sicurezza delle
aree esposte a rischio idrogeologico e sismico, di acquisizione e realizzazione
di aree verdi, di qualificazione dell'ambiente e del paesaggio.
Il comma 8 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 è abrogato.
ART. 8
(Ripristino delle regole ordinarie in materia urbanistica)
Qualora la definizione e l’esecuzione di interventi complessi, programmi di
intervento, opere pubbliche o di interesso pubblico, anche di iniziativa
privata, richiede l’azione integrata e coordinata di Comuni, Province, Regioni,
amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici, si procede alla stipula di
accordo di programma secondo quanto disposto dall’articolo 34 del D.lgs 18 agosto
2000, n. 267.
Comuni, Province, Regioni, amministrazioni dello Stato e altri enti
pubblici possono concludere accordi di programma per la realizzazione di
proposte e iniziative di rilevante interesse pubblico di cui al comma 1 del
presente articolo solo se conformi agli strumenti di tutela del paesaggio e di
pianificazione urbanistica.
L’eventuale variazione della strumentazione urbanistica dovrà avvenire, nel
rispetto di quanto stabilito dall’articolo 6 della presente legge, attraverso i
procedimenti ordinari di variante urbanistica previsti dalle legislazioni
regionali.
Gli strumenti di concertazione, negoziazione e semplificazione
amministrativa, compresi gli accordi di programma di cui all’articolo 34 del
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e la conferenza dei servizi di cui agli artt. 14
e ss della l. 241 del 1990, non possono avere effetto derogatorio rispetto ai
regolamenti e agli strumenti urbanistici adottati o approvati secondo la
normativa vigente, ad eccezione degli interventi per la realizzazione di
infrastrutture e urbanizzazioni pubbliche da realizzarsi su aree di proprietà
pubblica.
ART. 9
(Censimento degli immobili inutilizzati all’interno del territorio
comunale)
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i
comuni elaborano ed approvano il “Censimento degli edifici sfitti, non
utilizzati o abbandonati” esistenti sul proprio territorio, quantificandone
caratteristiche e dimensioni.
Ad ogni immobile è allegato il certificato catastale e l’indicazione della
destinazione d’uso dell’immobile medesimo, al fine di creare una banca dati del
patrimonio disponibile.
La Regione o la provincia competente verificano che le previsioni
urbanistiche che impegnano nuove aree edificabili ai sensi dell’articolo 6 non
possano essere soddisfatte con gli immobili individuati dal Censimento di cui
al presente articolo.
ART. 10
(Censimento delle proprietà pubbliche)
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i
comuni, le province, le regioni, le amministrazioni dello Stato, gli enti
pubblici di cui all’art. 1, comma 2, l. 196 del 2009 e ss.mm.ii, e le
Università agrarie a qualsiasi titolo proprietari di immobili redigono e
inviano al Ministero dell’economia e delle finanze il censimento delle
proprietà pubbliche, ivi compresi i beni sequestrati e confiscati alla
criminalità organizzata.
Ad ogni immobile è allegato il certificato catastale e l’indicazione
dell’uso dell’immobile medesimo, con specifica distinzione tra proprietà
utilizzate per fini istituzionali e proprietà cedute in locazione o
inutilizzate.
Per gli immobili ceduti in locazione dovrà essere specificato il titolare
del contratto di locazione e le caratteristiche economiche del contratto
medesimo.
ART. 11
(Censimento degli immobili privati utilizzati dalle amministrazioni
pubbliche)
Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i
comuni, le province, e regioni, le amministrazioni dello Stato, le Università
agrarie redigono e inviano al ministero dell’economia e delle finanze l’elenco
delle proprietà immobiliari private con contratto di locazione passivo.
Ad ogni immobile è allegato il certificato catastale e l’indicazione
dell’uso dell’immobile medesimo.
Per ogni immobile sono specificate le caratteristiche economiche del
contratto medesimo.
ART. 12
(Vendita del patrimonio immobiliare pubblico)
Le informazioni raccolte in attuazione degli articoli 8 e 9 sono inserite
in una banca dati pubblica e consultabile attraverso il sito internet del
ministero dell’economia e delle finanze.
E’ vietata l’alienazione di immobili di cui all’articolo 8, prima che sia
concluso il censimento di cui al comma 1.
Il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con le
amministrazioni interessate, redige per ogni amministrazione interessata da
affitti passivi un piano di rientro basato sulla piena utilizzazione degli
immobili di proprietà pubblica di cui all’articolo 8.
ART. 13
(Uso sociale del patrimonio immobiliare pubblico)
I comuni e le amministrazioni a vario titolo proprietarie di immobili non
utilizzabili a fini istituzionali redigono il piano di utilizzazione dei
medesimi immobili destinandoli, sulla base delle loro caratteristiche, ad usi
produttivi a favore di nuove imprese giovanili, ad associazioni o, in presenza
di gravi disagi abitativi, alla soluzione dei fabbisogni residenziali.
Le amministrazioni devono comunicare in modo efficace e presentare alla
popolazione la disponibilità di immobili e il piano di utilizzazione
approntato.
Dopo due anni dalla prima pubblicizzazione del piano di utilizzazione, il
Ministro per dell’economia e delle finanze, sentite le amministrazioni
interessate, redige un piano di vendita per gli immobili pubblici non
interessati all’uso per i fini istituzionali o per gli usi previsti dal comma
1.
ART. 14
(Tutela del territorio non urbanizzato)
Le leggi regionali assicurano che sul territorio non urbanizzato gli
strumenti di pianificazione non consentano nuove costruzioni, né consistenti
ampliamenti, di edifici, se non strettamente funzionali all'esercizio
dell'attività agro-silvo-pastorale, nel rispetto di precisi parametri
rapportati alla qualità e all'estensione delle colture praticate e alla
capacità produttiva prevista, come comprovate da piani di sviluppo aziendali o
interaziendali, ovvero da piani equipollenti previsti dalla normativa vigente.
Le leggi regionali stabiliscono che le trasformazioni di cui al comma
1 siano assentite previa sottoscrizione di apposite convenzioni nelle
quali sia prevista la costituzione di un vincolo di inedificabilità, da
trascrivere sui registri della proprietà immobiliare, fino a concorrenza della
superficie fondiaria per la quale viene assentita la trasformazione e a non
frazionare né alienare separatamente i fondi per la parte corrispondente
all'estensione richiesta per la trasformazione ammessa, nonché l'impegno a non
operare mutamenti dell’uso degli edifici, o delle loro parti, attivando
utilizzazioni non funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali.
Le leggi regionali disciplinano altresì le trasformazioni ammissibili dei
manufatti edilizi esistenti con utilizzazioni in atto non strettamente
funzionali all’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali, limitandole a
quelle di manutenzione, di restauro e risanamento conservativo, di
ristrutturazione edilizia con esclusione di qualsiasi fattispecie di
demolizione e ricostruzione.
Le leggi regionali e gli strumenti di pianificazione possono disporre
ulteriori limitazioni, fino alla totale intrasformabilità, in relazione a
condizioni di fragilità del territorio, ovvero per finalità di tutela del
paesaggio, dell'ambiente, dell'ecosistema, dei beni culturali e dell’interesse
storico-artistico, storico-architettonico, storico-testimoniale, del patrimonio
edilizio esistente.
ART. 15
(Esenzione dal pagamento dell’Imposta municipale)
I terreni destinati ad uso agricolo e i manufatti che svolgono funzioni
strumentali delle aziende agricole sono esenti dal pagamento dell’Imposta
municipale.
Sono soggetti al pagamento dell’Imu i terreni improduttivi e i manufatti di
uso agricolo inutilizzati.
ART. 16
(Disposizioni di carattere finanziario e sanzionatorio)
Il Ministro dell’economia e delle finanze sospende l’erogazione delle
risorse del Fondo di solidarietà comunale di cui al comma 380, articolo 1,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228 nei confronti dei comuni inadempienti
rispetto alle disposizioni di cui all’art. 3, c. 1, all’articolo 4, c. 1 e
all’art. 5, c. 1.
Il Ministro dell’economia e delle finanze sospende l’erogazione delle
risorse di cui al D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 56 nei confronti delle regioni
inadempienti rispetto alle disposizioni di cui all’art. 3, c. 2, all’articolo
4, c. 2 e all’art. 5, c. 2.
Dall'attuazione della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica. Le Amministrazioni interessate provvedono agli
adempimenti previsti nella presente legge con le risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili.
ART. 17
(Disposizioni transitorie e finali)
A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino
all’adozione del decreto di cui all'articolo 3, comma 3, non è consentito il
consumo delle aree agricole e delle aree a vocazione ambientale tranne che per
la realizzazione di interventi previsti dagli strumenti urbanistici vigenti e
provvisti di titolo abilitativo edilizio non decaduto alla data di entrata in
vigore della presente legge.
Le regioni a statuto ordinario possono individuare ulteriori aree,
rispetto a quelle indicate al comma 1, per le quali è vietato il
consumo di suolo.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano
adeguano la propria legislazione alle disposizioni del presente articolo,
secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.