mercoledì 13 maggio 2015





13 maggio. Discorso all’assemblea degli azionisti Eni
Beppe Grillo: “Sono qui per parlare di quello che nessuno può più negare: Eni da molti anni ha dato vita ad un sistema corruttivo di portata internazionale. Questa attività criminosa si regge su tre gambe. La prima gamba, la corruzione. E’ l’attività corruttiva vera e propria. È naturale quindi ricordare le inchieste. Il sistema di corruzione internazionale messo in piedi da Eni fuori dai confini italiani, e in particolare nel continente africano, è ormai sotto gli occhi di tutti, anche dei magistrati. Eni è accusata sia per le tangenti versate in Algeria al fine di aggiudicarsi la costruzione di alcuni gasdotti (e qui si parla di 200 milioni di tangenti per un controvalore dei contratti di 8 miliardi), sia per quelle versate in Nigeria per la concessione decennale nell’esplorazione petrolifera al largo delle coste nigeriane (e i pm parlano di altri 215 milioni di tangenti, per un controvalore della concessione di 1,9 miliardi). Un sistema di corruzione che si alimenta attraverso la connivenza di gran parte dei quadri aziendali, come dimostra. Tra ricatti incrociati (la minaccia al posto di lavoro) e lo strapotere dei manager sui dipendenti si è mantenuto in piedi per anni un sistema colluso radicato profondamente nell’azienda, completamente opaco nei confronti dei cittadini, nonostante Saipem, almeno sulla carta, sia una partecipata di una società a controllo tuttora pubblico.
La seconda gamba, il Governo. Eni, di fatto, costruisce da anni sulla corruzione internazionale la politica estera dei Governi di destra, di sinistra e di centro che si sono succeduti, compreso questo Governo, che non saprei dove collocare. Il Governo, proprietario della quota di maggioranza di Eni (30%) attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa Depositi e Prestiti, finge di non sapere ciò che avviene sotto i suoi occhi. Il sostegno dei Governi a queste pratiche criminose è evidente se si guarda alle nomine pubbliche dei quadri aziendali di Eni e delle controllate. Tutti nomi di navigata esperienza politica, spesso conosciuti alle procure. Per ultima la nomina del nuovo amministratore delegato di Eni da parte di Renzi: Claudio Descalzi. Quel Descalzi coinvolto sia nella inchiesta di lungo corso sui fatti in Kazakistan che in quella sui fatti in Nigeria, quando era vice direttore generale di Eni. E dire che basterebbe inserire negli statuti delle società partecipate dallo Stato e quotate in borsa un’apposita clausola in materia di requisiti di onorabilità e connesse cause di ineleggibilità e decadenza dei componenti del consiglio di amministrazione, come abbiamo richiesto più volte noi del M5S in Parlamento. Ma il Governo preferisce fingere di combattere la corruzione e spolpare le aziende pubbliche per svenderle ai privati, meglio se stranieri. Ci arriverò fra poco. La terza gamba, i Paesi africani. Di questo sistema corruttivo internazionale è il dissesto politico e sociale dei Paesi nei quali Eni depreda, impoverisce e distrugge attraverso le tangenti. Eni non potrebbe corrompere sistematicamente alti esponenti governativi in Paesi nei quali le condizioni sociali ed economiche della popolazione permettono un controllo efficace della politica e degli affari strategici per la collettività. In Algeria, in Nigeria, in Libia, in Egitto, in Tunisia l’instabilità politica, religiosa e sociale garantisce ad Eni ampi margini di manovra per i suoi affari criminali. Ma Eni allo stesso tempo alimenta l’esasperazione politico-sociale dei Paesi dove investe. È insieme agente e beneficiario del sistema corruttivo che ingabbia lo sviluppo dei Paesi del terzo mondo. È il punto senz’altro più vergognoso. Approfittare della miseria e dell’instabilità, alimentarne di nuova, per il profitto privato: sì, privato. Il valore delle azioni di Eni è crollato negli ultimi anni, valevano 21 euro a metà 2014 e sono scese a 13 nel gennaio 2015, per poi risalire di poco. Nell’arco di piano 2015-2018 l’Eni prevede dismissioni per 8 miliardi di euro. E’ quanto si legge nelle slide che accompagnano la strategy presentation. Nel 2015 inoltre taglierà il dividendo a 0,80 euro per azione da 1,12 euro del 2014. Il piano di buyback dell’Eni «è sospeso», annuncia poi il gruppo petrolifero in occasione della Strategy presentation. «Si valuterà la sia riattivazione quando i progressi strategici e lo scenario di mercato lo consentiranno», spiega l’Eni. Nonostante questi numeri, molto preoccupanti, tutti i dirigenti hanno percepito stipendi da nababbi, stock options, stock grant e liquidazioni a sette cifre. I piccoli azionisti sono rimasti cornuti e mazziati. Non solo. Come detto le popolazioni africane sono in balìa della rete corruttiva che Eni contribuisce a rafforzare. C’è un articolo di Alessandro Pansa, sul Corriere della Sera, che svela il meccanismo attraverso cui i proventi dell’estrazione di gas libico vengono versate alla Banca centrale libica, che poi, per quieto vivere, le distribuisce a tutte le fazioni e le tribù che si spartiscono un territorio in preda al caos, compreso lo Stato Islamico! Come dire che Eni, una società sotto il controllo del Governo, finanzia indirettamente il terrorismo islamico e la compravendita illegale di armi da guerra da parte di tutte le fazioni in campo, grazie ad un sistema di tangenti capillare. Il sistema criminale di Eni non si limita certo alla Libia: in Algeria, Egitto, Nigeria, Iraq… Eni alimenta un circuito vizioso di guerre civili, “missioni di pace” e instabilità cronica. Questo meccanismo criminoso è pronto a fare disastri anche in Italia. La chiave di volta è lo Sblocca Italia. Il M5S lo chiama “Sfascia Italia”. Ci siamo battuti con tutti i mezzi democratici per contrastarlo, è una follia! Lo “Sfascia Italia” è il paradiso delle trivelle e del petrolio. Elimina ogni intermediazione tra il Governo e le multinazionali, Eni compresa. Non serve più la Valutazione di Impatto Ambientale regionale (VIA) per iniziare a trivellare. Basta l’ok di un Governo colluso.
Gli azionisti Struttura del Capitale Sociale Il numero degli azionisti di Eni determinato sulla base delle segnalazioni nominative relative ai percettori del dividendo in acconto dell’esercizio 2014, cedola n. 23, è pari a 268.344; questi azionisti rappresentano il 99,82% del capitale sociale costituito da 3.634.185.330 azioni ordinarie prive di indicazione del valore nominale.
Ministero dell’Economia e delle Finanze 157.552.137 4,34
CDP S.p.A. 936.179.478 25,76
21/03/2014 PEOPLE’S BANK OF CHINA 2,102
La svendita dell’ENI
Ma abbiamo un sospetto, o per meglio dire una certezza. Il sospetto è che dietro ad una gestione così scellerata di un’azienda pubblica strategica ci sia la volontà di svincolare Eni da qualsiasi controllo pubblico e di gettarla in pasto ai privati. Il pretesto è sempre la maggiore efficienza dei privati. Ci hanno detto la stessa cosa per l’acqua e le autostrade, e a cosa siamo andati incontro? Servizi sempre più scadenti, licenziamenti, aumento delle tariffe. Il disegno è chiaro: dietro la spoliazione di sovranità degli Stati nazionali c’è la fame di profitto di poche multinazionali e del mondo speculativo. L’Euro e i trattati europei servono a questo e l’Italia è una preda molto succulenta. Grazie all’Europa a trazione finanziaria si è scatenato l’attacco violento alla proprietà pubblica nei settori primari: acqua, energia, sanità, istruzione, trasporto pubblico! È sufficiente garantirsi l’appoggio di Governi sensibili agli interessi dei poteri forti, siano essi di destra, come i Governi Berlusconi, o di quella sinistra svenduta al mondo finanziario, come il Governo attuale, o ancora Governi tecnici, quando il gioco si fa duro e la finanza ha bisogno di prendere in mano direttamente le redini del Paese: ed ecco il Governo Monti nel 2011. Eni è stata prima trasformata da ente pubblico in S.p.A. nel 1992, poi negli anni successivi sono state vendute gran parte delle partecipazioni pubbliche (oggi lo Stato detiene per lo più indirettamente solo il 30% delle azioni di Eni) e infine l’azienda è stata ridimensionata, spolpata, indebitata, svuotata di ogni finalità pubblica andando ad alimentare la rete di corruzione internazionale di cui ho parlato. Eni si comporta già da anni come un’azienda privata, ma presto verrà definitivamente svenduta, probabilmente a investitori esteri, come è già stato fatto per altri gioielli italiani in questi anni di crisi economica pilotata. Dal 2008 al 2012 sono state svendute all’estero 437 aziende italiane secondo l’Eurispes: dalla Pirelli ai cinesi, all’Ansaldo Breda regalata ai giapponesi, passando per l’Indesit svenduta alla Whirlpool, la Telecom in mano a Telefonica, la Pernigotti lasciata ai turchi e ancora la Parmalat ai francesi e la Ducati ai tedeschi dell’Audi. Abbiamo già visto come si comportano gli acquirenti stranieri. Whirlpool ed Electrolux ci hanno proiettato nel prossimo futuro: comprano a prezzo di saldo, razionalizzano i costi, buttano in strada migliaia di famiglie, ridimensionano l’azienda e poi, alla prima aria di protesta, delocalizzano la produzione! E l’Italia perde servizi, prodotti, ricchezza e occupazione! È il momento di Eni, e io sono venuto qui per fare sapere a tutti, a cominciare dai piccoli azionisti, che cosa è diventata e che fine farà l’azienda di Enrico Mattei.
Il M5S chiederà una Commissione d’inchiesta parlamentare sull’ENI nei prossimi giorni.
Grazie, ho finito.

lunedì 24 febbraio 2014

Tratto da ORIZZONTE 48 inserito da Di Fabbio Luigi  sul meetup Senigallia 5 Stelle - Articolo del 23/02/2014 a firma Luciano Barra Caracciolo

Visto che si deve andare a votare per le elezioni Europee. Tanto per gradire. Ma noi non possiamo fare nulla! Siamo inermi! 

LA POLITICA ECONOMICA E IL "CAMBIO DI PASSO": A TUTTA FORZA, ROTTA SUL MAELSTROM





Ci sono dei giorni in cui senti quanto sia profonda l'incomprensione generale (eccettuati coloro che staranno leggendo questo post...per definizione), della gravità del problema di democrazia derivante dalla prolungata e profonda disapplicazione, pressocchè totale, della Costituzione (quella fondata espressamente e sistematicamente sul "diritto al lavoro", inteso come "piena occupazione", garantito come compito prioritario dalle istituzioni democratiche della Repubblica).

Una volta che il corpo sociale abbia passivamente accettato un sistema che rinviene le sue regole supreme, incidenti sulle vostre vite, in un trattato internazionale di natura economica, legittimando (nelle apparenze procedurali di "investitura", ormai però svincolate dai valori cardine che sono la sostanza costituzionale), l'autoapplicatività delle norme internazionali con prevalenza illimitata sui principi fondamentali della stessa Costituzione, una volta che ciò accada e si consolidi come prassi dell'azione di governo, il liberismo oligarchico può fare praticamente ciò che vuole
 
E un simile meccanismo diverrà operante, d'ora in poi, per qualsiasi trattato economico che intenda (ri)modellare la struttura socio-economica italiana in funzione di interessi (privati) estranei a quelli considerati al vertice della scala di valori democratico-costituzionale: e questo perchè con l'adesione a Maastricht abbiamo varcato la soglia di "non ritorno" e ormai la Costituzione - nella sostanza, al di là delle procedure che appassionano i nostri media e la nostra politica- è divenuta, senza che il corpo sociale se ne sia reso conto, poco più che carta straccia.
Esattamente come se fossimo occupati militarmente dall'esercito di una potenza straniera che, certa del suo dominio, lasci in vita una struttura servente di autorità autoctone che rispondono strettamente ai suoi interessi.
Perciò, la sovranità (in questo caso) democratica è "sospesa" esattamente come nella parte finale della seconda guerra mondiale (anche se il mio amico Cesare Pozzi sostiene, con seri argomenti, che la nostra situazione assomiglia di più a quella del 1919-1922).
E questa notazione ci riporta all'ipotesi frattalica, la quale, come saprà chi ne segue gli aggiornamenti, è stata "shifted forward" di un anno rispetto alla formulazione iniziale.

Il fatto che sia stata spostata di un anno mi ha portato a verificare quale fosse l'argomento del blog esattamente un anno fa; così, per curiosità.
E, con grande soddisfazione predittivo-frattalica, ho realizzato che, esattamente il 23 febbraio di un anno fa, era un sabato, era iniziato il ciclo "Osservatorio PUD€- cronaca di un cetriolo annunciato". Ciclo che, guarda caso, riguardava il pensiero economico di Pier Carlo Padoan.

Da questa specifica serie di post - la cui lettura integrale consiglio per fare anche un opportuno inquadramento delle teorie economiche che ne risultano "classicamente" esposte-, riproduciamo degli estratti significativi della visione di Padoan, con relativi commenti:
"The EU is right in seeking a sustainable correction of fiscal imbalances. A critical aspect that requires stronger tools in this context is the quality of consolidation programmes. These should be centred much more on permanently lower growth of current public expenditures, efficiency and growth-enhancing reform of entitlements (pensions), and unemployment support schemes (active labour market policies). A strengthening of relevant provisions in the Stability and Growth Pact legislative texts before Council and Parliament seems in order.
Non si torna indietro dalla strada della compressione dei bilanci statali. Devono essere compresse le spese correnti del bilancio dello Stato. In particolar modo le pensioni e i cosiddetti ammortizzatori sociali. Niente di nuovo rispetto a quanto abbiamo visto sotto il precedente governo che attraverso la riforma delle pensioni (ed il conseguente fenomeno degli esodati) e la riforma del lavoro, ha contribuito ad aumentare la disoccupazione (http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-01-08/novembre-tasso-disoccupazione-giovanile-094206.shtml?uuid=AbaPtEIH) ed il lavoro in nero (http://www.loccidentale.it/node/119776).
...To this effect a much stronger role must be played by structural reforms. There is a need for labour-market reforms aimed at increasing flexibility that would allow real wages to respond more efficiently to competitive pressures. Increasing employment rates among women and young people can add significantly to the labour force and strengthen potential output. 
Flessibilità, flessibilità, flessibilità, anche se I dati empirici dimostrano che non esista correlazione tra maggiore flessibilità del lavoro e maggiore occupazione (http://keynesblog.com/2012/02/10/aumentare-la-precarieta-del-lavoro-non-produce-occupazione/), o peggio ancora tra maggiore flessibilità e maggiore produttività del lavoro/crescita  (http://www.aiel.it/bacheca/UDINE/free/Lucidi.pdf ) .

...Moreover, services liberalisation can boost investment including in countries where current-account surpluses reflect a low level of investment with respect to savings, thus addressing the structural determinants of external payment imbalances. By opening the services sector to competition we would create enormous opportunities for domestic investment and productivity increases, which would translate into higher domestic incomes, as well as strengthen our industry with lower-cost and higher-quality services. Critical in this context is the liberalisation and full integration of energy markets, still fragmented into closed national gardens and controlled by national monopolists reaping hefty rents by imposing very high costs on industry and consumers.

Liberalizzazione, liberalizzazione, liberalizzazione (e privatizzazione) dei servizi nazionali perchè questo dovrebbe riflettersi in maggiori investimenti e maggiore produttività. Diciamo che l’esperienza italiana del settore bancario, dei trasporti autostradali, energetico e telefonico dovrebbe forse aver insegnato qualcosa (forse a loro no) (http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=590799&IDCategoria=2687 ).

A five-point strategy to ensure a good equilibrium

A strategic response that will bring the Eurozone towards a good equilibrium is based on five mutually reinforcing points (European Commission 2011)1:
  • Undertake credible economic adjustment in vulnerable member states.
  • Establish an adequate firewall against contagion in sovereign-debt markets.
  • Ensure that EU banks are sufficiently capitalised.
  • Reform the framework for economic governance in the Eurozone.
  • Implement policies to boost growth and address imbalances.
Substantial progress is being made on all five elements, with a decisive breakthrough achieved in the past three months. However, the pace of implementation is not uniform and failure to make sufficient progress on any single element – possibly motivated by complacency over recent developments - would undermine the overall strategy. The possibility of falling back towards a bad equilibrium is still uncomfortably high and requires strong determination at the national level and high vigilance by EU institutions.
- I "credibili aggiustamenti economici" sono l'austerity fiscale e le "riforme strutturali", essenzialmente tese a flessibilizzare il lavoro con la diminuzione dei salari (acuendo la caduta della domanda interna fino alla deindustralizzazione e vanificazione della ragione stessa della pretesa "riforma risanatrice"..."desertificante");
- il "firewall" è la politica concordata (ESM) che addossando ulteriore indebitamento a carico di TUTTI INDIFFERENZIATAMENTE  i paesi dell'euro zona, acuirebbe il debito di "partecipanti" già indebitati e interverrebbe comunque solo sugli effetti, lasciando in piedi i differenziali di competitività-inflazione;
- la "sufficiente capitalizzazione delle banche" è una "petizione di principio": non si dice da dove potrebbe sorgere la "fiducia" per i sottoscrittori delle ricapitalizzazioni, che, rispetto ai paesi debitori UEM, sarebbero dunque necessariamente "esteri" data la corrente crisi di insolvenza-liquidità; mentre farebbe ricadere, nei paesi creditori UEM (il cui sistema bancario certamente non ride), l'onere sugli stessi governi, aumentando, contraddittoriamente alle premesse, il relativo debito pubblico;
- la riforma della "governance" è un vago modo di dire che "forse", "un poco", "quando ci sarà un accordo"...con la Germania (cioè MAI),  si dovrebbe provvedere a rendere operativo un sistema di "trasferimenti";
- la "spinta per la crescita" in questa visione, appare essenzialmente una visione di "supply side" (sussidi alle imprese, ma senza soldi per i paesi che ne veramente avrebbero bisogno, Moavero docet, e, al più, aumenti sistematici dell'IVA per cercare di tamponare le importazioni). Inutile anche dire che "nessun progresso" sostanziale è stato fatto, e non è provocabile da  nessuna di queste misure, tanto che ormai il contaggio recessivo è arrivato, com'era inevitabile, anche alla Francia.
What a good equilibrium would look like
Figure 1 below illustrates numerically how a ‘typical’ Eurozone country in distress would recover. In a baseline without policy action, adverse developments in growth, interest rates and debt mutually reinforce each other, trapping the economy in a perpetuous downturn (notare che è accaduto esattamente il contrario ndr.) Unlimited (but conditional) financial backstops that achieve a cut in market bond yields of the order of 500 basis points would sunstantially slow down the economic contraction and contain the rise in the debt burden (appunto: la realtà è risultata opposta ndr.).
Next, structural reform that manages to close the gap from the OECD average economic performance within 20 years would boost growth by 0.75% per year and bring support for fiscal sustainability (OECD 2012). A once-and-for-all cut in the primary fiscal deficit of the order of 6% of GDP would then suffice to stabilise the debt ratio and secure sustainable growth and low interest rates.
Importantly, in a medium-term timeframe the trade-off between ‘austerity’ and growth vanishes. However, as depicted in Figure 1, in the very short-run it does exist (growth is initially lower with than without fiscal consolidation), and this is complicating the political economy of fiscal consolidation. This is why it is necessary for countries attempting to escape from a bad equilibrium to be able to benefit from a ‘confidence bridge’ through financial backstops while implementing credible structural adjustment.
Figure 1. How a ‘typical’ Eurozone country can recover...
Qua il discorso si fa un pò misterioso: hanno lanciato là un backstop, che garantisca il debitore da immediate crisi di liquidità e insolvenza sovrana, senza menzionare l'ESM, ma probabilmente immaginando che, di lì a poco, Draghi avrebbe salvato VERAMENTE il gioco dell'OCA zoppa ("avulsa" da Mundell), cioè l'euro, attraverso il sostegno "per tutto quanto sarà necessario" ai titoli del debito pubblico dei paesi in crisi.
Rompendo però, nella "loro" matrice teorica, la facciata della "politica monetaria credibile", cioè che si limita a reprimere i prezzi (recte: salari), ma guadagnando il tempo necessario a non far percepire con eccessiva intensità nel tempo le riforme strutturali e l'austerity.
Chiariscono che il backstop-garanzia, ben oltre lo schema provvisorio di Draghi, debba strutturarsi nella "condizionalità".
Cioè bisogna comunque, per gli autori, vincolare i debitori a questi "aggiustamenti strutturali credibili" (tagli spesa pubblica, tasse, e deflazione salariale indotta da massima flessibilità, svendite, nonchè privatizzazioni e liberalizzazioni: non lo elencano espressamente in questa sede ma lo ritrovate qui,) una volta calmati gli spread.
Questi ultimi, peraltro, (come termine comparativo con l'onere di interessi sostenuto da altri paesi che adottano la stessa moneta), non sono legati all'ammontare dei deficit  e dei debiti pubblici, ma significano che i mercati non credono alla sostenibilità di una moneta unica che amplifica gli squilibri commerciali-posizioni creditorie tra i paesi partecipanti.
Una volta che la garanzia+condizionalità abbia garantito l'effettuazione dei suddetti (misteriosi) "aggiustamenti credibili", per gli autori, scatta la "nuova età dell'oro": per 20 anni austerity fiscale e deflazione salariale garantiranno una crescita annuale dello 0,75% (...!) all'anno, assicurando la sostenibilità fiscale: cioè la diminuzione del debito che calerebbe, in questa ipotesi, grazie a questa fantastica crescita "credibile" che non avrebbe certo effetti neutrali sulla distribuzione dei redditi.
E questo considerato che, per i mainstream, una crescita consentita da interventi statali di sostegno alla domanda aggregata e fruendo dei naturali aggiustamenti dei cambi flessibili, è evidentemente "incredibile": anche se adesso vaglielo a spiegare ai Aso-Abe e a Obama e poi anche ai francesi.
E come lo dimostrano? Ma con la figura 1 (che vi invito ad andarvi a vedere sull'articolo in originale)! Che non riporta i dati di come effettivamente vada l'economia che so, della Grecia, dell'Irlanda o dell'Italia, a partire dalla crisi e dall'adozione degli aggiustamenti credibili, ma quelli di un astratto lungo periodo di applicazione del fiscal compact.
E avrebbe potuto benissimo basarsi sui dati effettivi, perchè in effetti le politiche di riduzione del deficit pubblico, pro-cicliche, in essenza, sono state seguite almeno dal 2011. E gli andamenti sono stati analizzati per il passato e anche in proiezione dallo stesso FMI. 
Ci parlano invece di un ipotetico paese tipo dell'eurozona, "avulso" dalle serie storiche effettivamente registrabili nei paesi in cui si stanno già applicando queste teorie.
Cioè si ipotizza un risultato, si accoppiano indici, tipo un "moltiplicatore fiscale" rigorosamente "dedotto" sulla carta e non legato ai fattori strutturali che "nella realtà" lo determinano (secondo il FMI!), e inevitabilmente il risultato è quello ipotizzato in partenza. Una specie di ipotesi autodimostrativa. E si chiama "deduttivismo".
Per capire che gli effetti delle riforme strutturali non sono quelli ipotizzati e che l'austerity ha invece gli effetti determinati dai "veri" moltiplicatori fiscali, senza spendere ulteriori confutazioni teoriche, basta guardare alle ben diverse "curve" della crescita registrate nella realtà nei paesi sottoposti a terapia in questo studio, (lo so, è keynesiano, sarà grave?) nonchè dal FMI sopra citato,  fondati sulle serie storiche registrate nella realtà, da cui si possono trarre conclusioni del tutto diverse con metodo "induttivo". Le rispettive curve, che rinviano necessarimente a una pretesa quanto aleatoria "crescita" nel primo caso, "stranamente", non assomigliano affatto a quelle studiate sui dato reali: che una delle due "versioni" non sia rigorosamente scientifica?
 4) A questo quadro vale la pena di aggiungere il dossier che il blog "Appunti" di Giorgio DM ha raccolto sulle analisi e predizioni economiche di Padoan all'OCSE, sottoposte al vaglio implacabile di Krugman. Altra lettura succosa (e per noi deprimente).

Capite bene, allora, perchè abbiamo l'uomo adatto ad eseguire, in una "durevole stabilità", il "Piano" così tratteggiato:

Il Piano politico è, attualmente, abbastanza chiaro: lasciare passa' a nuttata per sbandierare (provvisoriamente) una ricrescita fenice, magari emersa dalle nebbie di nuovi criteri di calcolo del PIL, e, intanto, giustificare tagli alla spesa pubblica come misure per la crescita, ma senza esagarare, dato che, sempre più, in una forma strisciante, di "Hartz" all'italiana, si punterà a generalizzare la deflazione salariale sui grandi gruppi con l'intervento dei contratti di solidarietà e misure analoghe: cioè a carico pubblico (ma solo per i gruppi "importanti" agli occhi dei politici; gli altri, le odiate PMI, saranno costretti al suicidio se non riescono a esportare col forzato dumping salariale, ed in condizioni di credit crunch). Poi comunque si passerà a ratificare all'unanimità le vere e proprie Hartz e anche il reddito di cittadinanza che ne è il complemento direttamente adiacente.
...un imprenditore, a Piazza Pulita, dando ragione della nuova tattica renzian-movimentista-tutti d'amore-e-d'accordo, sindacati inclusi: "ora stai in cassa integrazione a 800 -invece di 1400-, non accetteresti di riprendere a lavorare per 900?" 
Ecco, il "reddito di cittadinanza" sostitutivo della cassa integrazione, funziona esattamente così: fissa la soglia, il bench-mark automatico - e, per di più, variabile in pejus via via che si materializzano gli effetti del fiscal compact sui conti dello Stato-, appena al di sopra del quale sarai costretto a lavorare dovendo pure ringraziare (l'euro e la classe politica tutta, asservita al suo implacabile disegno, "opposizione" inclusa).

Per mantenere gli obiettivi di gradualità nella instaurazione della Grande Società "vH", in tono ortodossamente ordoliberista, sempre più condiviso dalla generalità delle forze politiche, si farà una inevitabile super-patrimoniale, che Bundesbank predica come provocazione per far saltare il banco, ma della cui proposizione i nostri piddo-puddini vedranno entusiasticamente solo la parte di illusione finanziaria: quella in cui si dice che tale misura servirebbe a correggere una disparità di distribuzione della ricchezza "intollerabile", laddove, invece, in Italia tale distribuzione, naturalmente al netto dei capitali dei più ricchi, da anni spostati all'estero, è particolarmente "equa", quasi al limite dello schema ideale.
 
E badate, non mi importa della "fonte", perchè il calcolo, nei presupposti enunciati, è corretto: ed infatti, lo studio non parla nè del vero scandalo della distribuzione che riguarda solo il primo 3%, - e quindi non l'intero decile investito dalla demagogia redistributiva...basata sulla crassa ignoranza-, nè del patrimonio occultato e non più "residente", perchè prontamente già esportato fuori dall'Italia: perchè poi tutto si risolverà solo in impoverimento senza crescita, anzi, (come poi abbiamo visto in dettaglio) ulteriormente recessivo.

In aggiunta, sono in dirittura d'arrivo col tetto alle pensioni, fissato su dei lordi che, attualmente, nella proposta in discussione, includono pure le prestazioni assicurative volontarie che, col proprio risparmio privato, il cittadino si paga da sè, espropriandolo così, a doppio titolo, dei contributi già pagati al sistema pubblico in sovrabbondanza, che rimarranno allo Stato (anche per la parte pagata ad assicurazioni private): la prestazione pensionistica ne risulterà così tagliata sia del risparmio "pubblico",a titolo di contributi gravanti per decenni, su chi ha lavorato, per una misura di pensione che non riceverà mai,  sia a titolo di risparmio privato volontario (per una prestazione che non potrà più aggiungere alla tagliata prestazione pubblica!); così s'impara.

domenica 23 febbraio 2014

Il finanziamento pubblico ai giornali non muore mai

- 1 commento

Nonostante la crisi, la legge di stabilità aumenta i contributi pubblici all'editoria, anche per i quotidiani politici.

Sebbene la notizia sia stata ignorata dai principali mass media nazionali, con la manovra voluta dall'esecutivo i finanziamenti pubblici all'editoria passano dai 137 milioni di euro dell'anno che sta per concludersi ai 175 milioni del 2014, in barba ai richiami all'austerity sempre presenti sulle bocche di alcuni componenti della compagine di governo. Il fatto è che, come hanno denunciato inutilmente i grillini, questi soldi verranno assegnati prescindendo da un criterio legato alle logiche di mercato, come invece succede in tutti i settori soggetti alla libera concorrenza.
Infatti, consultando il sito della Presidenza del Consiglio, è possibile conoscere i nomi delle testate che nell'anno 2012 hanno ricevuto i contributi pubblici maggiori. Al primo posto si trova il quotidiano della Cei, l'Avvenire, che ha incassato 4.355.324 di euro; secondo viene Italia Oggi, che ha beneficiato di 3.904.773 di euro, mentre il podio è completato dall'Unità con 3.615.894 di euro. In quarta posizione c'è un altro foglio 'comunista', ovvero Il manifesto, che ha ottenuto più di 2,7 milioni; a seguire, i leghisti della Padania si sono accaparrati 2 milioni tondi (e meno male che loro non prendono soldi da Roma...), Il Foglio di Giuliano Ferrara ha succhiato 1,5 milioni circa. Non mancano altri quotidiani di partito: il piddino Europa ha raccattato più di 1,1 milioni, l'ex aennino Secolo d'Italia un po' meno di 1 milione.
Ma quali sono i requisiti che determinano l'elargizione di contributi così generosi? Se lo sono chiesti alcuni deputati del Movimento Cinque Stelle, che hanno fatto l'esempio dell'Unità, che versa in condizioni economiche disastrose. L'ex foglio ufficiale del Pci, in effetti, nel 2012 aveva subito un crollo delle vendite del 19% rispetto al 2011, passando da 38.656 copie a 31.127. Anche dal punto di vista dei ricavi le cose non erano andate meglio: se nel 2011 ammontavano a più di 15 milioni di euro, nel 2012 superavano a stento i 12 milioni, con una perdita netta di oltre 4,6 milioni, nonostante gli ingenti finanziamenti pubblici.

Sono numeri che allarmerebbero qualsiasi azienda operante in un libero mercato, ma non l'Unità e, è doveroso dirlo, tutti gli altri giornali che percepiscono simili sovvenzioni. Un salvagente preparato direttamente dallo Stato che permette loro di estraniarsi dalla logica economica alla quale sono sottoposti i quotidiani che non godono di tali benefici e che, se non vendono, sono costretti a chiudere.

giovedì 30 gennaio 2014

30 gennaio 2014


LA MAIN DANS LE SAC !

La Deutsche Bank

27 JANVIER 2014 par FRANÇOIS LECLERC | Print La Deutsche Bank : LA MAIN DANS LE SAC ! par François Leclerc

Billet invité


En prologue de l’examen des bilans bancaires de la BCE, l’agence Bloomberg vient de jeter un énorme pavé dans la mare. Selon les résultats de son enquête, Deutsche Bank aurait dissimulé 395,5 milliards d’euros de prêts en ne les faisant pas figurer au bilan, ce qui représenterait 19 % de la valeur des actifs qui y sont inscrits.
Le mécanisme de cet escamotage reposerait sur l’utilisation de techniques complexes de compensation à large échelle et aurait pour effet de minorer les risques encourus par la banque à l’occasion de ses activité de prêt. On apprend ainsi que c’est notamment le cas d’un prêt à la banque italienne Monte dei Paschi di Siena, en pleine déconfiture. La minoration de la taille du bilan aurait également comme effet de fausser le calcul du ratio de levier réglementaire et de diminuer les besoins de renforcement des fonds propres en conséquence.
La Deutsche a déjà procédé à une augmentation de capital et à l’émission de dettes subordonnées afin d’anticiper l’application de la réglementation du Comité de Bâle, en présentant des comptes qui seraient susceptibles d’avoir induit en erreur les investisseurs. Pour sa défense et se couvrir, la banque s’abrite derrière l’application d’une norme comptable de l’IFRS qui ne rend pas compte du contexte.
Ni le BaFin – le régulateur allemand – ni la Bundesbank n’ont selon Bloomberg souhaité s’exprimer sur le sujet. Mais la question est dorénavant posée : d’autres grandes banques européennes utiliseraient-elles les mêmes techniques avec les mêmes effets ?

La Deutschke Bank con le mani nel sacco

La revisione dei conti del bilancio della BCE, eseguita dall'agenzia Bloomberg, ha gettato non un sasso, ma un macigno nella palude del mondo finanziario: secondo i risultati dell'esame, La Deutsche Bank avrebbe occultato 395 miliardi e mezzo di euro di prestiti mettendoli fuori bilancio, somma che rappresenta il 19% del valore degli attivi che vi sono riportati.
 L'escamotage starebbe nell'utilizzo di tecniche complesse di compensazione su larga scala e avrebbe per effetto di minimizzare i rischi per la banca nelle sue attività di prestito. E' questo appunto in caso – segnalato dall'agenzia – del prestito alla banca italiana Monte dei Paschi, che si trova in stato di avanzata decottura. Un bilancio più ristretto avrebbe anche l'effetto di falsificare il calcolo dell'indice della leva finanziaria e i n conseguenza di diminuire il bisogno di rinforzamento dei fondi propri.
La DB ha già provveduto a un aumento di capitale e all'emissione di debiti subordinati allo scopo di anticipare l'applicazione del regolamento del Comitato di Basilea, presentando conti suscettibili di avere indotto in errore gli investitori. Per difendersi dall'accusa e rimanrere coperta, la banca si nasconde dietro l'applicazione di una norma contabile dell'IFRS che non rende conto del contesto.

Nè la BaFin – il regolatore tedesco – né la Bundesbank hanno sollecitato, secondo Bloomberg, alcuna spiegazione. Ma la domanda ormai è stata formulata: anche altre grandi banche europee utilizzerebbero le stesse tecniche per ottebere i medesimi effetti? 

da Catia Fronzi per il MoVimento 5 stelle