venerdì 30 agosto 2013

il mattinale    30 agosto 2013



Le Marche, la competitività territoriale e i 
Fondi Strutturali Europei

SE TUTTO VA BENE SIAMO ROVINATI

Commentavamo stamattina con Mariangela i dati diramanti dalla Commissione Europea sulla competitività del sistema produttivo delle 262 regioni europee, per i quali le Marche figurano al 177° posto. L’articolo a sua firma, titolato dal Correre Adriatico di mercoledì 28 agosto “I limiti di sempre”, diceva più o meno:    “A parte le regioni del sud che fanno storia a sé, dispiace di vedere che siamo dietro a regioni come Veneto, Toscana e Umbria, che a noi dovrebbero essere omogenee per modi di produzione e per prodotto, oltre che alla Slesia e ad altre regioni dell’est europeo pervenute di recente a livelli di competitività ormai simili ai nostri”.
Lo stesso giorno, il Messaggero pubblicava una nota di Francesco Grillo (non Beppe) su un argomento in qualche modo convergente: “Fondi strutturali, sconfitta dell’Italia”.
“È una sconfitta gravissima”, era scritto in apertura, “quella che Enrico Letta ammette per tutto il Paese quando concede che, con ogni probabilità, non riusciremo a spendere i fondi strutturali che l'Italia ha avuto a disposizione dal 2007 al 2003. Non solo ciò significa che stiamo continuando a sprecare quelle che sono diventate le uniche risorse pubbliche disponibili, ma anche che siamo compromettendo la credibilità delle nostre richieste”.
Chiaro che il pensiero corre subito alla nostra regione: esistono dati? come siamo messi in quest’altra graduatoria? Vista quella della competitività, ci si aspetta che siamo molto indietro anche in quella dell’impiego dei Fondi Strutturali.
“Invece no”, corregge Mariangela, che è economista e conosce piuttosto bene le cose come vanno nel Palazzo Raffaello e immediate propaggini: “le Marche sono una tra le regioni che riescono a intercettare la quasi totalità delle risorse disponibili. Non solo: per quanto ne so io, la nostra Regione riesce anche a spenderli. Ma è proprio questo il problema.
“Perché”, chiedo io. “Come si spiega questa divaricazione?”
“Eh già, come si spiega?”
"I limiti di sempre?”
“I limiti di sempre. Hai visto mai? I finanziamenti europei arrivano, ma la politica regionale non riesce ugualmente a utilizzarli in modo da creare le condizioni necessarie per fare ripartire l’economia.
Ecco un tema sul quale metterebbe conto di porre domante e poi discutere approfonditamente le risposte. Qualcosa mi dice che ci proveremo.

Catia Fronzi       

mercoledì 28 agosto 2013

il mattinale  mercoledì 28 agosto


Le Marche fanalino di coda per competitività
I LIMITI DI SEMPRE

di Mariangela Paradisi, dal  Corriere Adriatico di oggi
Si sapeva, e dunque è solo una conferma. Che le Marche fossero il fanalino di coda delle regioni italiane del Centro-Nord, per competitività, intendo, - quelle del Sud fanno storia a sé. Su 262 regioni dell’Europa a 27, le Marche si piazzano al 177° posto. È quanto ci fa sapere la Commissione Europea. Si sapeva per chi lo voleva vedere, ovviamente. Non i politici e i pubblici amministratori, dunque.
Vero, l’indice di cui si parla è composto da indicatori di contesto anche non strettamente riguardanti l’attività delle imprese. Ma la sostanza non cambia. Le Marche manifatturiere – “le più manifatturiere d’Europa”, come si insiste a ripetere – scontano i limiti di sempre: eccesso di imprese piccole e di lavoro manifatturiero relativamente improduttivo e, dunque, valore aggiunto insufficiente a  sostenere il peso della politica. Del resto, il Pil regionale arranca nella più incosciente miopia della politica.
Che fare, dunque? Innanzitutto non ripetere gli errori del passato. Se infatti possiamo infischiarcene della regione olandese di Utrecht prima in graduatoria: il nostro sistema produttivo non è in competizione con loro, ma mangiare la polvere di regioni italiane che generano Pil grazie a imprese dirette concorrenti delle nostre non è certo incoraggiante quando si spera di ricominciare a vendere. Mi riferisco al Veneto (158° posto), Toscana (160°) e Umbria (167°). E che dire delle regioni dei paesi dell’est verso le quali l’Europa ha portato le proprie competenze e che ora sono in grado di competere con noi, la regione polacca della Slesia, per esempio? Si chiama “teoria del ciclo del prodotto” in economia, e illustra la naturale evoluzione – prevista e prevedibile – della composizione degli scambi internazionali. Mi pare che ai nostri pubblici amministratori risulti ostica, la teoria.
L’Europa, del resto, pare non interessi i nostri policy maker. Le nostre imprese sono state (so)spinte – poche, perché molte non ne hanno convenienza – ad esportare in Cina, Brasile, Russia, paesi a più basso reddito pro-capite dove gli acquirenti sono meno esigenti, di fatto disincentivando l’innovazione della produzione e dell’organizzazione d’impresa. Dunque, primo punto: la vogliamo riscoprire, questa Europa? Vogliamo spingere le imprese verso paesi e mercati più simili al nostro, che stimolino la loro capacità di competere?
Secondo punto. La politica industriale regionale è sempre stata caratterizzata da stratificazioni successive –a buccia di cipolla, verrebbe da dire – di interventi che sempre aggiungevano, e mai toglievano snellendo il sistema e consentendo il suo fisiologico rinnovamento. Dalle inutili partecipate che hanno tolto spazio all’iniziativa privata nel settore dei servizi: Cosmob, Meccano, Svim, tanto per citarne alcune, alle leggi di finanziamento a pioggia anche per le imprese cui sarebbe stato meglio staccare la spina: Sabatini, Artigiancassa, fino alla famigerata Legge Bersani sui distretti, ridotti a bacini di consenso elettorale.
E ora? Ora, aggiungendo altra buccia alla cipolla, ecco la proposta per una “Piattaforma fisica”  di ricerca per gli elettrodomestici: idea quanto di più obsoleta, distorsiva, improvvida, dilapidatoria di risorse pubbliche, che potesse venire in mente. E si potrebbe continuare.

Un serio impegno a migliorare le condizioni ambientali e istituzionali in cui le imprese operano non sarebbe meglio? Una bella piattaforma fisica per la riforma della burocrazia e della politica, per esempio. Perché anche se si sapeva che siamo ultimi, l’amaro in bocca c’è lo stesso: il “saper fare” delle Marche non è di certo secondo a nessuno”. 


domenica 25 agosto 2013

il mattinale domenica 25 agosto 2013


Gino Marchitelli
QVIMERA


"Tutti sanno ma nessuno osa parlare. Legalità e sicurezza sono parole sconosciute nei cantieri edili, dove si assiste al triste rituale, quotidiano, di abusi, incidenti e morti sul lavoro. Lo squallido sfruttamento degli extracomunitari, carne da macello per affaristi e caporali senza scrupoli. La miseria di vite ai margini. Uno spaccato terribile della nostra società, un j'accuse formidabile verso un mondo di intoccabili che sono tra i veri responsabili della rovina e del dissesto morale e finanziario del nostro paese.
La 'Ndrangheta è davvero così potente?
In uno scenario duro, oscuro, sconosciuto alla gente comune, il commissario Lorenzi dovrà svelare la vera identità del male che si nasconde dietro il perbenismo di facciata. Le indagini verranno ostacolate da politici e potenti uomini d'affari. Nella tranquilla cittadina di Bobbio, sull'appennino piacentino, forse esiste la chiave per risolvere la difficile la difficile indagine..."

Il genere noir è per Gino Marchitelli un modo avvincente di raccontare la realtà. Giovedì 26 ore 18,45, all'Angolo Giallo di Io-Book in via Fratelli Bandiera 33, nell'ambito della rassegna "Ventimila righe sotto i mari", in giallo: Lex and the city. Sarà presente l'autore.

sabato 17 agosto 2013

il mattinale  sabato 17 agosto



dopo l'urbanistica, cosa?



Con l'approvazione da parte del Consiglio Comunale del documento di indirizzo favorevole al PORU (Programma Operativo di Riqualificazione Urbana, di istituzione regionale), avvenuta a metà luglio, si va componendo il quadro della posturbanistica di questa amministrazione. Seguendone passo passo il dispiegarsi, ci troviamo ormai anche noi nella condizione di poter sintetizzare un nostro pensiero come fortemente divergente da quello che va prevalendo a Senigallia. 

Le stesse figure che l'Amministrazione ha voluto coinvolgere, l'INU e il suo presidente Federico Oliva (a pagamento, mica per amor di causa) come "referente scientifico del PORU", delineano un orizzonte che non ci appartiene. L'entusiasmo dimostrato dallo stesso Federico Oliva, e la sua adesione al ddl Realacci, non fanno che allineare questa politica adottata dall'assessore Ceresoni - e sopra di lui dalla Regione di Gianmario Spacca - a quella onnicomprensiva del governo Letta. 

Sotto il titolo di "Contenimento dell'uso del suolo", non è difficile infatti riconoscere procedure volte al rilancio pubblicamente assistito della vecchia urbanistica contrattata. Non per nulla i parlamentari 5 stelle hanno depositato una proposta di legge dal contenuto molto più rigoroso. 

Sul filo della critica si sono aperte molte altre voci, non solo parlamentari: quelle di Salvatore Settis e Antonio Maddalena; del WWF, FAI e Italia Nostra; degli agricoltori dell'associazione Città del Vino; e un gruppo di urbanisti che fa capo al blog Eddyburg di Edoardo Salzano ha addirittura avanzato una proposta propria. "Del resto - scrivono - come dimenticare che i più perversi strumenti della deregulation e della liquidazione del piano “autoritativo”, cioè pubblico, a favore del piano “concertato”, cioè gestito dagli immobiliaristi, sono nati proprio dall’INU? Perequazioni, compensazioni, trasferimenti di cubatura sono strumenti lanciati dall’Inu". 

Man mano che si va dispiegando, l'iniziativa comunale e il suo apparato consulente si vanno qualificando come espressione politica di regime. Ora, come tengono a spiegare con malriposto orgoglio i nostri amministratori, "il Comune di Senigallia è il primo della regione a dare attuazione alla legge regionale 22/2011", quella appunto che istituisce tutte queste cose. 

Ma certo: questa città, che una volta chiamavamo "la Svizzera del mattone", non vuole essere seconda in questa azione camaleontica di rilancio dell'edilizia sotto le mentite spoglie del risparmio di suolo. Nostra opinione e desiderio sarebbe che prendessimo da questa circostanza slancio per organizzare in ottobre un convegno dal titolo "Dopo l'urbanistica, cosa?" con la presenza del nostro deputato referente e di quanti possano contribuire a contrastare (Eddyburg, Settis...) questa estrema espropriazione di diritto e ragione. Facciamo di Senigallia il punto di svolta su questo tema. Speriamo vogliate tutti aderire alla proposta. 

Leo e Catia 


domenica 11 agosto 2013


il mattinale   domenica 11 agosto 2013, pomeriggio




BILANCIO PARTECIPATIVO: COSI' LO INTENDE IL COMUNE

"o pulite o pagate 400 euro di multa"




Mentre i cattivi ragazzi dell'Arvultura discutono su come si potrebbe riportare sotto il controllo diretto della cittadinanza qualche quota del bilancio comunale, la Giunta fa subito capire come intende affrontare la questione. "Obbligo di pulire per un raggio di cinque metri fuori dalla propria attività commerciale e la vetrina dei negozi"; chi non lo fa, "multa da 400 euro".
Nessuna menzione al fatto che toccherebbe proprio al Comune pulire gli spazi pubblici e che magari noi cittadini paghiamo le tasse perché strade e piazze siano tenute pulite. 
Lo so, ma il comune con le attuali ristrettezze non ce la fa più. Percaritadiddio, ci sta nel cuore il Comune che non ha più i soldi, e non si discute che ognuno di noi debba fare la sua parte in modo che la città sia sempre linda e civile. 
Ma, come diceva quella signora, c'è modo e modo di chiedere una cosa. Tanto più in un momento come questo la pubblica decenza disdegna che si monti in superbia. Quanti servizi sostitutivi potrebbe vantaggiosamente ottenere l'amministrazione comunale dalla collaborazione dei cittadini? E quanti soldi risparmiati nel bilancio comunale se il Comune sapesse creare un clima di collaborazione? Tantissimi: purché lo chiedesse nei dovuti modi. Che, certo, qualcuno farebbe presente che questo Comune così tanto in bolletta (non per colpa sua, beninteso!) le sue spesucce continua a farle lo stesso; ma molti, moltissimi sarebbero disposti a prendersi cura di ciò che è già nostro. Del resto chi è abituato a lavorare in condizioni di costante incertezza certe cose riesce a capirle; e oltretutto è nel suo interesse che le manchevolezze della funzione pubblica vengano comunque colmate. Tanto peggio tanto meglio nel commercio non funziona mai bene.
Loro però no: quanto più sono in fallo tanto più predicano, bacchettano, impongono, multano, riscuotono. E tutto questo chiamano "condivisione". Così il torto passa per intero dalla parte di chi "deve ottemperare", insieme con il danno e lo scorno.  
Alle elezioni promisero il bilancio partecipativo: si vede che per il momento ci toccherà accontentarci del bilancio coercitivo.  
  





Mercoledì 17 Luglio 2013 - 06:51    Ultimo aggiornamento: Giovedì 18 Luglio - 10:50

Banca Marche, Italcementi, Comune - La Concordia regionale

il mattinale   domenica 11 agosto


Banca Marche / Italcementi / Comune

La Concordia regionale
e una scialuppa chiamata Senigallia


Se l’arte del governo è spesso paragonata a quella del nocchiero che con mano ferma e tra mille pericoli guida la nave verso porti sicuri, è molto probabile che il barchetto chiamato “Senigallia” sia arrivato ormai in vista dell’Isola del Giglio. La difficoltà di comporre oggi il bilancio comunale non parla solo di una signora Merkel che costringe i pigs nello stipo del patto di stabilità, ma anche di una cattiva navigazione della politica locale. E dire che da molte parti negli anni passati erano giunti appelli a non chiudere i futuri orizzonti nel Borgo delle Torri, dove con infelicissimo slogan si tentava di vendere il sole che sorge.
Il nostro Schettino, però,  non si è sbagliato nell’atto di osare nuove vie, nuovi passaggi, ma in quello di perseverare nella vecchia politica del mattone ormai giunta al saldo di un’era; e quando mostrò di non avere paura, fu solo nell’enfasi e nella protervia.
Questa smania di essere primi introdotta nelle retoriche dell’amministrazione dalle giunte luan-rodaniane non ha fatto altro che portare più rapidamente la nostra città sull’orlo del precipizio. Chi si aggiri tra il vuoto che sta sotto la ciminiera e il giardino su cui si affacciano lo Stabilimento Bagni e il Palazzo del Turismo penserà forse che la colpa sia della BCE o del fantasma di Milton Friedman. O magari di una giunta comunale velleitaria quanto incapace di leggere la realtà. Forse non è così, o forse non è solo così. Forse è solo la corrente che ci spinge mentre quelli immaginano di guidarla - o anche, addirittura, di precederla.
Il caso Italcementi meglio di ogni altro ci ha fatto capire che stavamo sbracciandoci nella corrente. Variamente si è tentato di spiegare il perché la vendita del sole-che-sorge non andava avanti. Si disse per la dimensione imposta agli appartamenti; oppure per l’alto costo del terreno. Si disse che una crisi grave come questa non era in nessun modo prevedibile. Nessuno però riuscì a spiegarsi il perché la Banca delle Marche si fosse esposta così tanto nel finanziare l’operazione.
Ora, che Senigallia sia solo una scialuppa della grande Concordia marchigiana, lo si vede bene dallo stato in cui versa la banca regionale.  
“La Banca delle Marche”, scrive  Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano di martedì 23 luglio, “si è distinta perché dopo il 2008, mentre gli altri istituti italiani chiudevano i rubinetti alle società immobiliari, ha deliberatamente ignorato la crisi del mattone innescata negli Stati Uniti e ha continuato a largheggiare in crediti al settore”.
“Un altro Montepaschi Siena”, titola l’articolo, per precisare poi che  tra i gruppi che hanno beneficiato di crediti che oggi mettono nei guai la banca, c’è “il noto gruppo che fa capo alla famiglia Lanari”. Ma sì, lo sapevamo già: un articolo di giornale serve a tutelare chi non ha copertura professionale e a garantire nel concreto la libertà di espressione.

Che meraviglia poi se su quei crediti un’amministrazione comunale pensi di poter costruire consenso e futuro? La virtù di ingannarsi da soli è resa facile dal fatto che poi saranno altri a pagare la disillusione. L’albergo a cinque stelle? Ma fateci il piacere. Per la maggior parte dei senigalliesi era una chimera, per i più riflessivi un falso scopo, un montaggio delle attrazioni. Chissà se nessuno mai osò mai parlarne personalmente a nostri sindaci, o se invece tutti si limitarono, incontrandoli ogni giorno, a subire una stretta di mano?    

Leo.

venerdì 9 agosto 2013


il mattinale di  venerdì 9 agosto



SALARIO SOCIALE E DENSITA' LOCALE  
spunti di cittadinanza in MoVimento


Il confronto – sia con l’assessore Ceresoni che quello interno – sulle nostre proposte ci offre l’opportunità di delineare un percorso coerente della cittadinanza, oltre le singole note.
L’assessore scrive che l’edilizia sociale non è una foglia di fico che copre le vergogne della sua politica della casa, ma un obiettivo vero, volto a dare risposta o sollievo alle povertà vecchie e nuove; contemporaneamente Pietro Angelini ci invita a tenere in maggior conto la causa dei meno abbienti: che si tratti di pretesto oppure di vero obiettivo - dice in buona sostanza – resta il fatto che il tema del bisogno di casa non può essere in nessun modo trascurato.
Non credo che noi abbiamo fatto questo; ma è proprio in considerazione dell’invito di Pietro che aggiungo qui alcuni pensieri su cui poter discutere: circa la questione di Via Cimarosa nello specifico, e delle scelte di governo del territorio in via generale. Per dire innanzitutto che le finalità sociali avanzate da Ceresoni si possono controdedurre con facilità sia rispetto ai principi enunciati, sia anche in chiave di analisi critica dei procedimenti.
Rispetto ai principi enunciati, osservo che per lui la povertà consiste nell’essere iscritti a due liste: di quelli che richiedono case popolari, e di quelli hanno chiesto aiuto perché non ce la fanno a pagare l’affitto. E’ già un criterio, ma certo non sufficiente a cogliere i diversi aspetti delle povertà contemporanee come dice di volere l’assessore. Intanto perché non è certo che tutti gli iscritti a quelle liste siano “poveri” e che tutti i “poveri” siano iscritti in quelle liste. E poi perché di quelle che chiama “povertà vecchie e nuove” coglie solo l’aspetto abitativo, e in un modo, per giunta, che è biunivocamente funzionale alla causa del rilancio dei volumi. In fin dei conti, la sua teoresi sulla povertà può essere correttamente letta per quella che è: una forma di regia dell’attività edilizia.
Ora, Ceresoni ha ben diritto di occuparsi di case per i meno abbienti, essendo assessore all’urbanistica; ma proprio per questo dovrebbe ricordare che il bisogno della casa non è l’unico che rende poveri i poveri; e, più ancora, che un buon governo del territorio può fare contro le povertà nascoste e patenti molto più di quanto non riesca a fare il rilancio delle costruzioni con nuovi volumi e nuove convenzioni.
Il governo del territorio è molto più che costruire case, o, se vogliamo, una nuova città pubblica come risultato di pratiche perduranti di urbanistica contrattata. La costruzione di una scuola (l’abbiamo proposta noi in sede di osservazioni alla Variante al PRG), per esempio, oltre che una risposta energica e spavalda a questa crisi impostaci dalla finanza internazionale e dal governo nazionale è, non meno della casa popolare, una proposta socialmente rilevante. Almeno sotto il profilo della povertà sociale e culturale – che è forse quello più adeguato per incontrare le povertà della nostra città.
Peraltro, anche in tema strettamente abitativo, una conoscenza troppo sommaria della antiche povertà e del nuovo impoverimento impedisce ai governanti di vedere oltre quanto si può ricavare da un buon accordo con ERAP e dalla riproposizione una nuova fare di edilizia convenzionata. A questo proposito Gianfranco Lai ci fa giustamente notare che soccorrere le povertà col possesso permanente della casa significa restare sempre indietro rispetto al bisogno che si riproduce. Le case popolari dovrebbero essere soluzioni temporanee, in quanto almeno si ci augura che la povertà non sia una condizione esistenziale e che dunque non sia permanente. Interessante adesso è scoprire come nei nostri gruppi di lavoro si vada componendo una vera alternativa complessiva alle attuali politiche dell’amministrazione. La soluzione sistemica indicata dal MoVimento per ammortizzare le cause della povertà – soprattutto quelle dovute alla mancanza di posti di lavoro – sta nel salario sociale condizionato; non dunque nel creare nuove cubature dai costi finanziari e ambientali difficilmente controllabili ed effettivamente poco controllati.
Oltre a questa, che va a modificare le condizioni base del diritto di cittadinanza, dobbiamo ragionare in modo molto diverso da quello dell’assessore Ceresoni, e convincerci molto profondamente che il governo del territorio non ha solo valenze di crescita di volumi da abitare e loro pertinenze: ha anche valenze che sono connesse e alla valorizzazione dell’esistente e all’integrazione sociale. Non per nulla una nostra risposta alla crisi economico-finanziaria può essere definita come quella di “ridurre il nostro territorio dalla dipendenza dalle bollette”. Sono infatti le spese fisse quelle che trasformano il cittadino in un possibile indigente: le bollette e quel particolare accanimento dell’amministrazione pubblica che tenta a spese nostre di tenere a galla un suo apparato politico-progettuale macchinoso, inconcludente e dissipativo.
La nostra proposta potrebbe essere per l’organizzazione di comunità locali che imparano a gestire i loro bisogni in modo concreto e integrato, in cui ciascun cittadino è espressione del proprio bisogno e capace di dargli risposta. Per ridurre in generale le nostre dipendenze, la chiave è l’auto-organizzazione delle singole, specifiche, diversificate comunità.
Noi crediamo che non ci sia bisogno di case da costruire, ma di case di cui sia possibile sostenere le spese di gestione. Abbiamo bisogno di autonomia energetica locale, di cablaggio totale, di potere di gestire nel quartiere le mense scolastiche, di rifiuti ri-usabili, di servizi comuni scambievoli; abbiamo bisogno di creare gruppi di acquisto in modo da ottenere tariffe più basse per l’assicurazione di macchine e case. Una città ben organizzata fa risparmiare un sacco di soldi ed è vivibile per molte persone meno abbienti. Buone organizzazione e sobrietà sono ricette anche per il dopo crisi e voci attive nella valutazione economica del vero benessere; e ogni iniziativa che porta un contenuto di densità locale può rappresentare un giro di chiave per uscire dalla nostra dipendenza. Alcune le stiamo preparando con la proposta di Luigi Di Fabbio di attivare un GAS non alimentare, ma capace di ottenere migliori contratti assicurativi e nelle utility.
Una piccola esperienza l’abbiamo maturata io e Leo quando abbiamo tentato di costruire la Comunità Sistemica della Collina. Vorrei parlarvene a parte, perché quell’esperienza, prima astrattamente accolta e poi concretamente affondata dalle autorità “competenti”, portava con sé alcuni significati degni di attenzione e soprattutto ci fa capire:
 a) che densità locale è fattibile e feconda;
 b) che bisogna battersi per ottenerla, sia sul piano del diritto delle comunità che su quello dell’affinamento progettuale.
Mi pare che questi due principi: salario sociale e liberazione dalla dipendenza dalle bollette possano essere un buon indirizzo per combattere le nuove povertà e far rinascere una cittadinanza attiva e connettiva. Il nostro Comune futuro.

Catia Fronzi

martedì 6 agosto 2013

il mattinale  martedì 6 agosto 2013


Uno vale tanto se camminiamo insieme


Prendo spunto da un post che ci ha inviato Andrea Attardi su Senigallia 5 stelle meetup per mettere
insieme alcuni pensieri lungamente meditati, che spero possano essere utili all'unificazione,  Spero li                vogliate considerare attentamente. nel caso possano essere un punto di partenza di partenza per un                percorso comune, senza preclusione e senza accondiscendenze.


1      1) E' molto importante che ci sia unificazione, o almeno coordinamento. Il caso di Senigallia avrà pure le sue specificità, ma in termini generali non ha niente di speciale. Anzi, è abbastanza tipico del nostro movimento che ci sia più di un meetup, e che questi meetup abbiamo modi e vedute differenti. Ma se agiamo in modo scoordinato, o addirittura contrapposto, inevitabilmente provochiamo grosso danno al movimento stesso, che diventa per i cittadini indecifrabile.

2      2) Chi vuole l’unificazione veramente e chi no? Fino ad oggi - a parte te, Andrea, - non abbiamo mai sentito nessuno dell’altro gruppo parlare di unificazione; e tanto meno letto. Solo il meetup dei sei coorganizer ha parlato concretamente di unificazione; l’altro, quello dell’organizer e proprietario unico, ha fatto solo tentativi di assimilazione e parlato solo di teste da tagliare: chissà perché, solo le nostre.

3      3) Non esistono problemi personali tra noi, ma solo “politici”. La mia stessa espulsione era legata al fatto che mi ero interessata del biogas alle Casine d’Ostra, che l’asse Gianangeli-Cristiano considera terreno di pascolo di loro esclusiva appartenenza. Solo per questo furono montate ai miei danni false accuse come quella della lettera che mi voleva indaffarata con SEL (figuriamoci: sono liberale). Quella lettera - posso affermarlo con prove inconfutabili - non esiste, o se ve l’hanno mostrata, era tarocca. Si è parlato di insofferenze personali. Rifiuto di considerare questo aspetto, peraltro superabilissimo quando ci sia vera volontà di ragionare insieme.

4     4) Di cosa parliamo quando parliamo di unificazione. Non di persone. Il NON STATUTO di Grillo agli art 4 e 5, dice chiaramente chi bisogna essere e cosa bisogna fare per aderire al movimento: “Il MoVimento è aperto ai cittadini italiani maggiorenni che non facciano parte, all’atto della richiesta di adesione, di partiti politici o di associazioni aventi oggetto o finalità in contrasto con quelli sopra descritti”.Noi ci atteniamo a quello. Se poi il MoVimento è così facilmente accessibile ai cittadini, figuriamoci se può essere blindato l’accesso a un meetup che non è nulla più che una piattaforma per far incontrare persone con interessi convergenti (e non necessariamente circoscritta al Movimento 5 stelle)! Allo stesso modo conosciamo le condizioni per essere candidati nelle liste (vedi art 7 del NON STATUTO). Noi ci atterremo a quelle. E qui finisce il discorso dell’indice di gradimento di ciascuno per ciascun altro. Nessuno è autorizzato ad aggiungere restrizioni ulteriori.

5   5) Parliamo di regole. Non c’è bisogno di pagare un politologo per vedere che le norme di funzionamento (non voglio nemmeno parlare di “regolamenti”) dei rispettivi meetup sono molto diverse tra loro, per non dire opposte. Il meetup del monorganizer è chiuso e piramidale, quello dei sei coorganizer aperto e liquido. Sono pronta ad ammettere che entrambe le fisionomie sono presenti nel nostro MoVimento. Se vogliamo stare insieme, è indispensabile trovare un modo di procedere che metta insieme i pregi dell’uno e dell’altro (immaginando che non siano tutti dalla stessa parte). Per esempio io penso: "attivi sempre, attivisti mai"; e sono convinta che creare uno status specifico per gli attivisti scavi piuttosto solchi tra noi e la cittadinanza. Infatti il nostro meetup non conosce quel termine. Forse su questo aspetto, che per voi è motivo di gran vanto, possiamo cedere qualcosa, e non sarebbe comunque cosa da poco.

6       6) Tanti meetup, un MoVimento solo. Ci sono, anche nella nostra regione, meetup che somigliano a quello del monorganizer, e meetup che somigliano al nostro; e questo lo si può comprendere non solo facendogli i raggi, ma anche nelle relazioni che tende a stabilire con gli altri meetup. Ora, è del tutto evidente, Andrea, che il meetup vostro è sotto il patronaggio di quello di Jesi, il quale nella sua comunicazione vede solo voi; e questo è stato sempre per voi motivo di forza esercitata sempre se solo in termini di esclusione nei nostri confronti. Vediamo oggi più chiaramente le ragioni, e si tratta di ragioni fisiologiche. Chi ha una mentalità dirigistica mette su castelletti e butta giù gli indesiderati dagli spalti; chi pensa liquido circola liberamente e tiene le porte del confronto sempre aperte. Coerentemente a ciò che siamo, dunque, noi ci facciamo sostenitori di una piattaforma regionale “dei movimenti 5 stelle” - al plurale, come l’ha felicemente titolata il cittadino parlamentare pesarese Cecconi. Ecco un altro banco di prova della nostra possibile unificazione. Di cosa potete avere paura? Siamo stati anche noi elettori dell’Agostinelli.

7     7) Su arbitri e arbitrati. Certo, Andrea, noi tutti siamo autonomi e maggiorenni, quindi teoricamente capaci di confrontarci senza bisogno di tutele. Ma quello che noi abbiamo accolto non ha lo stesso senso del vostro patronaggio: ha il senso invece di un confronto vitale col resto del Movimento. Tanto più che, come detto, lì non parleremo di persone, e tantomeno di teste da tagliare. Noi vogliamo crescere, non diminuire. Abbiamo ricevuto la proposta Terzoni / Cecconi e l’abbiamo pienamente accolta. Se vi sembra necessario aggiungere qualcuno, proponete pure; ma credo che un confronto arbitrale, date le difficoltà che voi avete corposamente contribuito a creare, non possa essere in nessun modo evitato. Anzi, sarebbe la soluzione. Quello che ne uscirà lo accetteremo.

8  8) Modalità certe, condivise da tutti, e via andare. Risolvere per esempio il problema dell’unificazione dei meetup. Vedete un po’ se riuscite a uscire dalla gabbia dell’organizer unico-proprietario-portavoce: La nostra soluzione che la proprietà sia di tutti e i coorganizer più d’uno e tutti ruotabili potrebbe interessare chi pensa al MoVimento come circolazione di idee ed energie. Perché all’incontro non venite con una proposta plausibile, se questa non vi sembra buona?

9    9) La cittadinanza come diritto di partecipazione. In fondo a tutto, e in cima a tutto, c’è la cittadinanza, che consiste nel diritto di ciascuno di noi di interessarsi paritariamente di quello che gli sta a cuore. Non ci possono essere infeudamenti di questo o quell’altro. Unirci vuol dire per me camminare insieme senza distinzione di gerarchie. Da questo punto di vista l’atteggiamento dei nostri parlamentari è stato straordinario. L’esempio di Fabriano è stata una delle cose più belle che il nostro MoVimento ha saputo contrapporre a questa politica in cui l’autoblù è uno status symbol e non un’automobile che serva per andare nei posti dove vive la gente comune.

Sono nove e ve le ho messi giù tutte – o almeno quelle che a me sembrano le più importanti. Le       riassumo: ricongiungimento sì, ma a ripartire da capo; niente obiezioni sui nomi ma grande attenzione al modo e ai contenuti dell’azione; confronto arbitrale col resto del MoVimento per implementare norme d’uso semplici e operative; creare condizioni per nuove fraternità.
Adesso dite la vostra: uno vale tanti se camminiamo insieme.

                                                                                                                                                                 Catia Fronzi

sabato 3 agosto 2013


il mattinale    sabato 3 agosto 2013





BIOGAS DA RIFIUTI ALLE CASINE? NO, GRAZIE 

Non permettiamo che venga costruita al centro di una valle intensamente abitata come quella del Misa Nevola 
una centrale affamata di rifiuti organici.





Per l'idea che abbiamo delle comunità, l'autoorganizzazione e l'autogestione dei bisogni sono aspetti fondamentali, e la gestione dei propri rifiuti uno snodo cruciale. 
Per questo dire no alla centrale a rifiuti organici di Casine non è soltanto una faccenda di solidarietà: ci riguarda in prima persona come parte della stessa comunità.
E' dunque importante che ciascuno di noi si tenga informato sull'intera vicenda, sua origine e passi successivi.
E' importante che ciascuno di noi promuova questa conoscenza tra gli amici e i cittadini del nostro comprensorio. 
E che si tenga alto il profilo dell'attenzione.
Parliamo, consultiamoci, facciamoci vedere e sentire presso i rispettivi comuni.