il mattinale di venerdì 9 agosto
SALARIO SOCIALE E DENSITA' LOCALE
spunti
di cittadinanza in MoVimento
Il confronto – sia con l’assessore
Ceresoni che quello interno – sulle nostre proposte ci offre l’opportunità di
delineare un percorso coerente della cittadinanza, oltre le singole note.
L’assessore scrive che l’edilizia sociale
non è una foglia di fico che copre le vergogne della sua politica della casa,
ma un obiettivo vero, volto a dare risposta o sollievo alle povertà vecchie e
nuove; contemporaneamente Pietro Angelini ci invita a tenere in maggior conto
la causa dei meno abbienti: che si tratti di pretesto oppure di vero obiettivo -
dice in buona sostanza – resta il fatto che il tema del bisogno di casa non può
essere in nessun modo trascurato.
Non credo che noi abbiamo fatto questo;
ma è proprio in considerazione dell’invito di Pietro che aggiungo qui alcuni
pensieri su cui poter discutere: circa la questione di Via Cimarosa nello
specifico, e delle scelte di governo del territorio in via generale. Per dire
innanzitutto che le finalità sociali avanzate da Ceresoni si possono
controdedurre con facilità sia rispetto ai principi enunciati, sia anche in
chiave di analisi critica dei procedimenti.
Rispetto ai principi enunciati, osservo
che per lui la povertà consiste nell’essere iscritti a due liste: di quelli che
richiedono case popolari, e di quelli hanno chiesto aiuto perché non ce la fanno
a pagare l’affitto. E’ già un criterio, ma certo non sufficiente a cogliere i
diversi aspetti delle povertà contemporanee come dice di volere l’assessore.
Intanto perché non è certo che tutti gli iscritti a quelle liste siano “poveri”
e che tutti i “poveri” siano iscritti in quelle liste. E poi perché di quelle
che chiama “povertà vecchie e nuove” coglie solo l’aspetto abitativo, e in un
modo, per giunta, che è biunivocamente funzionale alla causa del rilancio dei
volumi. In fin dei conti, la sua teoresi sulla povertà può essere correttamente
letta per quella che è: una forma di regia dell’attività edilizia.
Ora, Ceresoni ha ben diritto di
occuparsi di case per i meno abbienti, essendo assessore all’urbanistica; ma proprio
per questo dovrebbe ricordare che il bisogno della casa non è l’unico che rende
poveri i poveri; e, più ancora, che un buon governo del territorio può fare
contro le povertà nascoste e patenti molto più di quanto non riesca a fare il
rilancio delle costruzioni con nuovi volumi e nuove convenzioni.
Il governo del territorio è molto più
che costruire case, o, se vogliamo, una nuova città pubblica come risultato di pratiche
perduranti di urbanistica contrattata. La costruzione di una scuola (l’abbiamo
proposta noi in sede di osservazioni alla Variante al PRG), per esempio, oltre
che una risposta energica e spavalda a questa crisi impostaci dalla finanza
internazionale e dal governo nazionale è, non meno della casa popolare, una
proposta socialmente rilevante. Almeno sotto il profilo della povertà sociale e
culturale – che è forse quello più adeguato per incontrare le povertà della
nostra città.
Peraltro, anche in tema strettamente
abitativo, una conoscenza troppo sommaria della antiche povertà e del nuovo
impoverimento impedisce ai governanti di vedere oltre quanto si può ricavare da
un buon accordo con ERAP e dalla riproposizione una nuova fare di edilizia
convenzionata. A questo proposito Gianfranco Lai ci fa giustamente notare che
soccorrere le povertà col possesso permanente della casa significa restare
sempre indietro rispetto al bisogno che si riproduce. Le case popolari
dovrebbero essere soluzioni temporanee, in quanto almeno si ci augura che la
povertà non sia una condizione esistenziale e che dunque non sia permanente. Interessante
adesso è scoprire come nei nostri gruppi di lavoro si vada componendo una vera
alternativa complessiva alle attuali politiche dell’amministrazione. La
soluzione sistemica indicata dal MoVimento per ammortizzare le cause della
povertà – soprattutto quelle dovute alla mancanza di posti di lavoro – sta nel
salario sociale condizionato; non dunque nel creare nuove cubature dai costi finanziari
e ambientali difficilmente controllabili ed effettivamente poco controllati.
Oltre a questa, che va a modificare le
condizioni base del diritto di cittadinanza, dobbiamo ragionare in modo molto
diverso da quello dell’assessore Ceresoni, e convincerci molto profondamente che
il governo del territorio non ha solo valenze di crescita di volumi da abitare
e loro pertinenze: ha anche valenze che sono connesse e alla valorizzazione
dell’esistente e all’integrazione sociale. Non per nulla una nostra risposta
alla crisi economico-finanziaria può essere definita come quella di “ridurre il nostro territorio dalla
dipendenza dalle bollette”. Sono infatti le spese fisse quelle che
trasformano il cittadino in un possibile indigente: le bollette e quel
particolare accanimento dell’amministrazione pubblica che tenta a spese nostre
di tenere a galla un suo apparato politico-progettuale macchinoso,
inconcludente e dissipativo.
La nostra proposta potrebbe essere per
l’organizzazione di comunità locali che imparano a gestire i loro bisogni in
modo concreto e integrato, in cui ciascun cittadino è espressione del proprio
bisogno e capace di dargli risposta. Per ridurre in generale le nostre
dipendenze, la chiave è l’auto-organizzazione delle singole, specifiche,
diversificate comunità.
Noi crediamo che non ci sia bisogno di
case da costruire, ma di case di cui sia possibile sostenere le spese di
gestione. Abbiamo bisogno di autonomia energetica locale, di cablaggio totale, di
potere di gestire nel quartiere le mense scolastiche, di rifiuti ri-usabili, di
servizi comuni scambievoli; abbiamo bisogno di creare gruppi di acquisto in
modo da ottenere tariffe più basse per l’assicurazione di macchine e case. Una
città ben organizzata fa risparmiare un sacco di soldi ed è vivibile per molte
persone meno abbienti. Buone organizzazione e sobrietà sono ricette anche per
il dopo crisi e voci attive nella valutazione economica del vero benessere; e ogni
iniziativa che porta un contenuto di densità locale può rappresentare un giro
di chiave per uscire dalla nostra dipendenza. Alcune le stiamo preparando con
la proposta di Luigi Di Fabbio di attivare un GAS non alimentare, ma capace di
ottenere migliori contratti assicurativi e nelle utility.
Una piccola esperienza l’abbiamo
maturata io e Leo quando abbiamo tentato di costruire la Comunità Sistemica
della Collina. Vorrei parlarvene a parte, perché quell’esperienza, prima
astrattamente accolta e poi concretamente affondata dalle autorità
“competenti”, portava con sé alcuni significati degni di attenzione e
soprattutto ci fa capire:
a) che densità locale è fattibile e feconda;
b) che bisogna battersi per ottenerla, sia sul
piano del diritto delle comunità che su quello dell’affinamento progettuale.
Mi pare che questi due principi: salario
sociale e liberazione dalla dipendenza dalle bollette possano essere un buon
indirizzo per combattere le nuove povertà e far rinascere una cittadinanza
attiva e connettiva. Il nostro Comune futuro.
Catia Fronzi
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